Sospetti sulla COP28
Il 30 novembre è iniziata la COP28, o meglio Conference of the Parties, creata dall’ONU per portare i maggiori attori globali a discutere di cambiamento climatico. La conferenza ha nuovamente ravvivato il dibattito sullo stato attuale della transizione energetica globale. Negli ultimi giorni sono emerse alcune polemiche a riguardo degli Emirati Arabi Uniti (sede della COP28), paese che si colloca 8° al mondo per quantità annuale di barili di petrolio prodotti.
Sultan Al Jaber, che presiede la conferenza, è Ministro dell’Industria e della Tecnologia Avanzata e allo stesso tempo Amministratore Delegato della Abu Dhabi National Oil Company, un colosso nella produzione petrolifera. In un recente articolo, la BBC ha documentato attraverso una serie di documenti che gli UAE avrebbero intenzione di sfruttare la presenza di rappresentanti governativi alla COP per cercare di negoziare accordi sulla vendita di petrolio.
Certo, la presenza evidente di lobbisti del settore petrolifero fa storcere un po’ il naso, visto che lo scopo finale della conferenza è quello di rallentare il cambiamento climatico (e i combustibili fossili contribuiscono al 90% circa delle emissioni di CO2 globali). Un approccio pragmatico alla questione però richiede di andare un po’ oltre le polemiche attuali e di portare il maggior numero di attori sulla strada della riduzione delle emissioni.
Dialogare con tutti, nessuno escluso
In economia, le emissioni di CO2 si definiscono esternalità, cioè prodotto di attività economiche che provoca un effetto su terze parti non coinvolte nella stessa attività. Nel caso delle emissioni, l’esternalità è negativa a livello globale, poiché influisce negativamente su tutto il globo.
Proprio per questo motivo, nonostante gli evidenti limiti posti dalla presenza di Al Jaber nel presiedere COP28, occorre cercare vie di dialogo e di negoziazione che possano portare il maggior numero possibile di attori a perseguire la strada della net-zero, anche con chi ancora investe in fonti fossili estensivamente. Nota bene: si parla di net-zero, e non zero-emissions, perché pensare di eliminare rapidamente, a livello globale, l’utilizzo dei combustibili fossili è impresa ardua, se non impossibile.
Nella realtà, purtroppo, c’è un’eccessiva dipendenza dai combustibili fossili. Nel recente report World Energy Outlook 2023 dell’International Energy Agency, si stima che al momento circa l’80% dell’approvvigionamento energetico globale sia composto da combustibili fossili. Questa tendenza dovrebbe calare entro il 2030, ma poco, attestandosi al 73%. Questo scenario invita certamente ad accelerare la transizione verso tecnologie pulite, ma allo stesso tempo a adottare un approccio più cauto e non precludere il dialogo anche con attori (al momento in maggioranza), che ancora investono nelle fonti fossili.
Vista la dibattuta questione dell’assenza di un meccanismo di enforcement internazionale per far rispettare target climatici promessi dai governi, sorge la necessità di trovare un luogo per far discutere tutte le parti in gioco. Per quanto possa sembrare paradossale dialogare con attori la cui ricchezza dipende proprio da fonti fossili, entrarci in dialogo può contribuire positivamente all’adozione di politiche di mitigazione del clima.
Il ruolo dell’ONU
Come spesso viene argomentato più in generale per l’ONU, considerata un’organizzazione inutile che non riesce a trovare soluzione concrete, anche di fronte alla COP e a partecipanti le cui finanze dipendono dalla sopravvivenza delle fonti fossili, la tendenza può essere quella di chiudere la porta del dialogo e considerare inutili i tentativi di incontro. Questo approccio però creerebbe una crescente distanza tra chi si impegna per l’attuazione di politiche di mitigazione del clima e chi – come in questo caso gli UAE – trova beneficio dall’uso di combustibili fossili.
L’ONU può avere una funzione fondamentale nell’esplicitare le posizioni dei governi e trovare canali di comunicazione tra stati anche in conflitto tra loro. Analogamente, le COP possono avere un ruolo importante nel far incontrare visioni anche opposte sulle vie da percorrere per limitare il cambiamento climatico. In questo caso, visto l’impatto globale delle emissioni, c’è la estrema necessità che tutte le parti in gioco entrino in dialogo tra loro.
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