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Il valore di riparar(si)

Riparare: verbo importante, oggi che siamo abituati all'usa-e-getta. Ripararsi: verbo fondamentale, oggi che siamo esposti ai venti della tirannia della performance e del risultato

Quadri misteriosi

Antiveduto Gramatica fu un pittore del primo periodo del barocco italiano. Di quest’uomo non ci interessa il fatto che fu maestro e amico di un certo Caravaggio, o che si guadagnò il soprannome di “Gran Capocciante” per il suo talento unico nel ritrarre le teste dei VIP dell’epoca, o ancora il motivo per cui il padre volle chiamarlo con così tanta fantasia (andatevelo a cercare, tipo qui). Ci interessano due quadri: Concerto a due figure e Il suonatore di Tiorba.

La storia di queste due tele è avvolta da una cortina di mistero: dipinte approssimativamente nella prima metà del ‘600, facevano originalmente parte di un unico quadro, ma vennero divise, perché potessero rendere di più sul mercato.

Il destino delle due parti, ormai indipendenti, divenne decisamente controverso: Il suonatore finì nella collezione privata dei Savoia, per poi essere ereditato di generazione in generazione fino ai giorni nostri, attualmente conservato alla Galleria Sabauda; del Concerto non si seppe più nulla e, quasi dimenticato, svanì completamente dai radar di ogni appassionato e collezionista d’arte.

Riparare: una parola, due significati

Rivedo un certo parallelismo con questa storia nella parola riparare. Aprendo il dizionario, leggo due significati derivanti ognuno da una propria etimologia.
Il primo deriva dal latino reparare, cioè «procurarsi di nuovo, riacquistare, ricuperare», da cui i significati «rimediare a un male, proteggere da un pericolo o danno, aggiustare».

Verbo transitivo, in cui l’azione passa attraverso il soggetto che opera in prima persona, mettendosi in gioco, solitamente su un oggetto o una situazione.

La seconda etimologia proviene dal provenzale repairar e dal latino tardo repatriare, «tornare in patria», ma anche «rifugiarsi, nascondersi, chiudersi, rintanarsi».

In questo caso invece il verbo è intransitivo, il soggetto non opera direttamente, ma viaggia, spera di trovare una situazione migliore in un altro posto fisico o spirituale.

Andiamo oltre a queste “chicche lessicali”, non prettamente nelle mie corde, ma sicuramente interessanti e fondamentali al fine di questo articolo.

Riparare = aggiustare

In questi anni, in cui ci stiamo finalmente rendendo conto di non poter solo sfruttare la Terra, ma di doverla anche accudire e proteggere, viene immediato collegare la prima accezione del verbo riparare alla discussione sull’ambiente.

In un passaggio dell’enciclica Laudato Si’, papa Francesco descrive un’epoca in cui la «rapidizzazione» padroneggia, in cui gli stili di vita che ci autoimponiamo vanno in contrasto con il naturale ritmo biologico del Creato e in cui si ha sì un cambiamento, votato però al deterioramento del mondo e al peggioramento della qualità di vita degli uomini stessi.

In questa cornice, il significato di riparare visto nel senso di «aggiustare» o «recuperare», assume un ruolo di primo piano. Quante volte, quando qualcosa si rompe, decidiamo di buttarlo via perché tanto “si fa prima a comprarlo nuovo”? Eppure, nel mio immaginario, i nostri nonni (o i nonni dei nostri genitori) li vedo chini con cacciavite e martello ad aggiustare ogni cosa – o almeno a provarci –, passando anche intere giornate di lavoro solo per ridonare al proprio nipotino il giocattolo che aveva rotto.

Qui scatta un altro passaggio secondo me fondamentale (che a parlare sia la mia deviazione professionale?). Il solo fatto di investire il proprio tempo e le proprie risorse nel cercare di “far tornare in vita” un rottame, lo trasforma. Non è più un oggetto, ma diventa il mio oggetto, ci si affeziona, si attribuisce un valore diverso, si crea un legame. Ogni toppa, saldatura o piccolo graffio diventa testimonianza dell’amore che si è riversato attraverso gli attrezzi da lavoro sul pezzo danneggiato. Sfido chiunque ora a buttarlo via!

Ovviamente mi rendo conto che è una visione utopistica, nella realtà di oggi è improponibile, soprattutto dal punto di vista aziendale e lavorativo, ma magari nella nostra piccola dimensione casalinga potremmo iniziare a cambiare, dove possibile, il trend consumistico usa-e-getta.

Mi permetto un solo piccolo excursus, allontanandomi dal livello materiale, per lanciarmi (alla cieca) in uno più astratto e di maggior difficoltà di analisi. Anni fa un prete mi disse, per convincermi della bontà del sacramento della confessione, che «quando noi litighiamo con qualcuno creiamo una crepa molto sottile sul “vaso dell’amicizia”. Se non facciamo nulla, la crepa non farà nulla, rimarrà esattamente come è, ma ci sarà sempre e, alla prossima lite si ingrandirà, fino a portare alla rottura. Se invece ci si confronta e ci si chiarisce questa crepa si può incollare e diventare punto di forza di una relazione».

Da queste parole si capiscono due cose: la prima è che non conosceva l’arte giapponese del Kintsugi (alzi la mano chi preferirebbe un’incollatura, nascosta e un po’ bruttina, a una crepa valorizzata con dell’oro. Nessuno? Perfetto!); la seconda cosa è che aveva ragione: da un confronto vero e sincero può nascere un’intesa, un punto di partenza e di incontro che, se ben coltivato, può portare a un rafforzamento del legame. Anche qui si evince come “riparare un rapporto” non sia sempre facile, ma che ne varrà la pena ogni volta – almeno provarci.

Ripararsi = rifugiarsi

Guardiamo ora l’altra faccia della medaglia.

Un rifugio può esser un luogo in cui ripararsi, da solo o in compagnia di pochi eletti, quando le cose vanno male, quando c’è la necessità di evadere dalla realtà, di staccarsi dalla quotidianità, di prendersi una pausa dall’estenuante ritmo della vita, oppure quando si ha il desiderio di passare del tempo con sé stessi e riscoprirsi; come disse lo psichiatra e filosofo Viktor Frankl, «l’uomo ha bisogno di un pezzo di deserto, in cui rifugiarsi e ritrovare se stesso».

Esistono infiniti luoghi, fisici e non, dove potersi sentire al sicuro e liberi di essere se stessi: la propria casa, la famiglia, la preghiera, una canzone, un libro, una persona…

Personalmente io adoro passare del tempo in montagna, a contatto con la natura, l’unico posto in cui quel poco di fatica ti aiuta a risentirti vivo (e a ricordarti che hai un corpo da trasportare e accudire), dove non ci sono troppe persone o rumori molesti pronti a disturbare il naturale fluire dei pensieri.

Riparare sé stessi, riparare gli altri

Torniamo a capofitto sulla questione del quadro scomparso: solo recentemente, nell’estate 2022, dopo 400 anni, è stato ritrovata la metà dispersa, battuta casualmente all’asta da un antiquario inglese. A seguito degli esami e delle contrattazioni del caso, finalmente è giunto il tempo del lieto fine: il ricongiungimento di due protagonisti di un’unica storia, ora finalmente in grado di poter raccontare la vera bellezza dell’opera originale.

Come le opere di Gramatica, anche le due accezioni di riparare si possono fondere in un unico derivato: «riparo». Una parola straordinaria, al cui interno «ripararsi» e «riparare», «aggiustare» e «rifugiarsi» si alternano continuamente, facendo perdere il netto confine di separazione imposto dalle due definizioni.

Si crea idealmente un amalgama in cui “mi rifugio” e “aggiusto gli altri”, elementi validi ma distinti, si uniscono in un significato nuovo, dove i due termini creano un legame indissolubile, quasi di ciclicità: causa ed effetto si intrecciano e si invertono rendendoli impossibili da identificare con precisione.

“Io mi aggiusto, perché do rifugio agli altri” o “do rifugio agli altri perché mi aggiusto”. Una mutua complicità di rispetto e dono che si traduce in un’attenzione reciproca ai bisogni e alle necessità del tuo prossimo e quindi di te stesso.

Concludo pensando a quei 400 anni in cui i musicisti del Gramatica sono stati costretti a esibirsi in una sinfonia incompleta, seguendo uno spartito in cui erano presenti dei vuoti che solo la parte mancante poteva riempire. Eppure, come le più classiche rock band che si sciolgono per poi riunirsi diversi anni dopo, sono finalmente riusciti a ritrovarsi, a completare la loro musica e la volontà originaria del loro autore.

Allo stesso modo, credo fortemente che anche noi possiamo essere come quei musicisti. Non importa se è passato molto tempo o se non è mai stato fatto: insieme possiamo riparare e essere riparati, provando a ripartire sulle note di una nuova armonia che può concretizzarsi in quel cambiamento positivo tanto auspicato.

Non ci resta che ripararci.

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Luca Meroni

Dopo una vita passata in Trentino e una laurea triennale conseguita all’Università di Trento, decido di completare gli studi in Ingegneria dei Materiali a Modena. Tra una camminata in montagna, una serie tv e due tiri a canestro cerco il mio posto nel mondo accompagnato da persone più o meno raccomandabili.

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