C’era una volta un filologo
«Lo studioso è come l’orco della fiaba. Si aggira famelico per il bosco, lo perlustra da cima a fondo, finché non sente il profumo della carne umana. Allora, in quel momento, sa che è vicina la sua preda».
Alziamo gli occhi dagli appunti e lo fissiamo, confusi: il professore capisce subito di avere ottenuto l’effetto sperato. Si limita a rispondere ai nostri sguardi interrogativi con un sorrisetto divertito, lasciando intendere che la metafora strampalata è parte della lezione. Anzi, forse è la lezione, necessaria e preliminare allo studio di qualsiasi testo (filosofico o letterario che sia): fare i conti con un’opera non è mai questione di mettersi comodi alla scrivania, ma è predisporsi a una brutale e incessante caccia all’uomo.
Poco ortodossa, forse, come indicazione di metodo. Ma lo studioso che avrà accettato di prendersi dell’“orco” capirà presto la genialità della metafora. Leggere un testo è addentrarsi nei «boschi narrativi» (come li chiamava Eco), seguendo la fame di sapere e senso; è seguire la traccia lasciata da parole e segni, attenti alle indicazioni di chi ha inaugurato (e forse già concluso) l’inseguimento; è non darsi pace finché non si stana l’autore, colui che ha impregnato tutto il bosco con il suo “profumo”, forse proprio per farsi trovare. La “preda” di ogni studente, voleva dirci il professore, non sono concetti, ma è sempre una persona, quella che si nasconde dietro all’inchiostro: l’opera, in questo modo, non è più un plico di pagine da capire, ma è frutto di una vita che ha provato a lasciare una traccia di sé, anche solo l’accenno di un buon odore.
Alla caccia di Dante
Ovvio, ci sono prede e prede. Ci sono autori per cui la caccia sembra interminabile: Dante, forse, il primo fra tutti. Inseguito per così tanto tempo da sembrare ormai una preda “scontata”, forse è, in realtà, così tanto studiato perché nessuno ne ha ancora trovato la tana. Ma il suo profumo inebriante invade la selva, e richiama nuove orde di orchi all’inseguimento. Tra questi, ancora un po’ imbranata con la mia clava, ci sono anch’io.
Questa piccola serie di “bricioline dantesche” che proviamo a iniziare non è che il resoconto di questi ultimi mesi passati a perlustrare il testo di Dante. Vuole essere la condivisione di quel buon profumo che mi è parso di trovare nello studio, la traccia di un autore ancora vivo e appassionante. Per farlo, dobbiamo però accantonare i preconcetti ormai troppo diffusi attorno al testo della Commedia: che è un mattone inaccessibile, troppo complesso e lontano per i nostri gusti. Dante, al contrario, l’aveva pensato per tutti, dal monaco asceta a noialtri, orchi alle prime armi.
Che questo spazio, allora, sia una sfida da raccogliere, per tornare a gustare quest’opera per quella che è davvero: una commedia umana e divina.
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