Una ne fa, cento ne sbaglia
Se c’è una cosa che è bene mettere subito in chiaro, nella prima delle nostre “bricioline dantesche”, è che Dante, questo suo viaggio oltremondano, non lo voleva fare. Apprezziamo la maestria dei fumettisti e illustratori nel ritrarre un Dante “versione Marvel”, dalla posa eroica e la veste turbinante. La verità è che la Commedia è una dichiarazione sistematica e continua di fallimento: lo si legge dal primissimo canto dell’Inferno, in cui non si è neanche a metà (v. 52) che Dante ha già abbandonato ogni speranza di riuscita, a tutto il Purgatorio, in cui viene rimproverato così duramente da Beatrice da esserne consumato (il verbo è «stemprare», detto dei colori disciolti), fino al Paradiso, dove a ogni canto ammette l’impossibilità di descrivere, addirittura di ricordare, quello che ha visto. La Commedia è la storia di un poveretto. Ed è per questo che è anche la storia della sua salvezza.
In questo, Dante, rinunciando da subito ai suoi bicipiti fiorentini, dimostra la sua meravigliosa umanità. Non c’è bravura, ma crescita nell’esperienza. Non c’è sicurezza, ma un procedere a tentoni, con continue domande. Non c’è autocandidatura, ma misteriosa elezione. E, soprattutto, c’è un amore che l’ha voluto in cammino.
In the name of Love
Nel bellissimo canto II dell’Inferno (su cui avevamo già scritto un articolo tempo fa), Dante realizza che l’impresa a cui aveva appena acconsentito, sull’onda della paura per le tre fiere e dell’entusiasmo per l’arrivo di Virgilio, è infinitamente più grande di lui. Ora, messo davanti alla sua scelta e al pensiero di ciò che lo attende, «disvuol ciò che volle», perché teme che, con le sue sole forze, «la venuta non sia folle». E Virgilio, nella sua tenera fermezza, non tesse le lodi della sua capacità poetica, non lo stordisce di belle parole, alla maniera di Ulisse (Inf XXVI), per risvegliarne il coraggio. Gli racconta, invece, delle lacrime di Beatrice nel Limbo (l’unica dei beati, nelle tre cantiche, di cui si dica che pianga!), della sollecitudine di Lucia, mossa a sua volta dalla Vergine Maria che «nel ciel si compiange» della sorte di Dante. Lo mette al corrente, cioè, della catena d’amore che lo precede, che c’è qualcuno che si «cura di te ne la corte del cielo» (v. 125), e gli rinnova la promessa di fargli da guida, lui che finirà per occuparsi di Dante «come suo figlio, non come compagno» (Inf XXIII, 51). L’unico modo per affrontare questo «cammin alto e silvestro», insomma, è sapere che c’è un amore che lo precede, lo sovrasta e lo anticipa. E Dante, all’udire questo, si paragona a quel fiore, «chinato e chiuso» dal freddo notturno, che timidamente si apre ai raggi del mattino, e finalmente torna «nel primo proposto», cioè accettare le sfide del viaggio.
Tutta la Commedia, in fin dei conti, non è che la storia di uomini fragili e di un «amor che move»: non solo il sole e le altre stelle, ma l’universo, i dannati e i beati, e il pellegrino stesso che ne raccoglie le storie lungo la via. Dante, da subito, svela che non è l’uomo capace quello che arriva a salire i cieli più alti, ma l’uomo amato, senza meriti, se non quello di riconoscersi tale e di decidersi comunque, con solo un po’ di amore nella bisaccia, di mettersi in cammino.
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