Tempo addietro mi è stato proposto di partecipare ad un’attività di volontariato in Moldavia organizzata dall’associazione Mission Moldova. Questa occasione mi si presentò all’improvviso tanto da lasciarmi spiazzato, ma accettai praticamente subito, perché non vedevo l’ora di mettermi in gioco. Prima di partire decisi di informarmi il più possibile sulla storia, la cultura e le tradizioni dello stato che mi avrebbe ospitato per due settimane. La Moldavia è una nazione sconosciuta ai più in Europa e ha avuto sostanzialmente un ruolo periferico, ma quello che più ha caratterizzato questo territorio è il fatto di essere un crocevia tra il mondo europeo e quello russo.
Ma bando alle ciance e iniziamo a raccontare quest’esperienza… Con i miei compagni d’avventura (eravamo in cinque, tra ragazzi e ragazze) siamo partiti da Trieste e, dopo un lungo viaggio, abbiamo raggiunto il piccolo villaggio di Creţoaia, che, anche se abbastanza vicino alla capitale, Chişinău, risultava letteralmente disperso nell’immensa campagna Moldava. A Creţoaia siamo stati ospitati nell’asilo gestito da due suore, Lucia ed Antonia (provenienti rispettivamente dalla Polonia e dalla Transnistria), e da don Andreiil, parroco del piccolo paesino di trecento anime. Ogni anno, in estate, don Andrei organizza un camposcuola per i bambini della zona e noi avevamo il compito di supportarlo e aiutare i bambini a svolgere le varie attività proposte. Il primo impatto con la vera realtà moldava non è stato facile: non esisteva un’illuminazione notturna, una rete di strade, una rete idrica efficiente, un’infermeria, una scuola, un posto di polizia e il paesino più vicino si trovava a più di quindici chilometri di distanza. Inoltre le uniche strutture del paese, oltre alle povere e modeste case, erano l’asilo, nel quale dormivamo la notte, e la chiesetta cattolica di San Antonio da Padova. Infatti don Andrei, insieme alle due suore, era riuscito a costruire un vero e proprio “faro” di speranza in mezzo a quel mare di nulla: un luogo sicuro e tranquillo dove i bambini della zona possono giocare e studiare.
Una cosa che mia molto colpito appena arrivato è che nello sguardo delle persone adulte che vivevano in quel posto ho percepito tristezza e rassegnazione che, a parer mio, rifletteva pienamente l’ambiente nel quale vivevano. Completamente diverso invece è stato l’impatto e l’incontro con i bambini: all’inizio erano tutti sospettosi nei nostri confronti, ma poi la loro diffidenza si è dipanata velocemente lasciando spazio all’entusiasmo e alla voglia travolgente di giocare tutti insieme.
Le giornate erano così organizzate: dopo aver partecipato tutti alla messa mattutina partivano i classici giochi (stile gruppo estivo), a cui seguivano diverse attività didattiche; dopo aver pranzato tutti insieme – e devo dire che ho apprezzato la cucina moldava – ritornavamo a giocare, divisi per squadre, fino alla conclusione della giornata. Penso che, tra tutti i ricordi di questa meravigliosa avventura, quello che mi è rimasto più impresso nella mente è il sorriso che ci regalavano col cuore tutti i bambini del villaggio ogniqualvolta giocavamo insieme.
Consiglio a tutti, non di fare, ma di poter vivere quest’esperienza, perché, oltre ad aiutare qualcuno che ne ha veramente bisogno, alla fine se ne esce largamente arricchiti.
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