I giovani e la depressione
Negli ultimi anni i casi di depressione giovanile sono aumentati in maniera esponenziale. Tra ansia, solitudine e paura del giudizio degli altri, gli adolescenti (e non solo) di questa nuova generazione si lasciano risucchiare in un vortice di emozioni negative che cambia radicalmente la loro vita e il modo di vedere le cose. Si rischia di essere sempre più tristi e infelici della propria esistenza, considerata misera da molti e senza speranza per il futuro.
Da una parte potrebbe sembrare vero: questo mondo moderno può in qualche modo tagliare le ali ai giovanissimi sognatori, timorosi che il futuro riserbi per loro una vita senza scopo e senza amore. L’ansia e la depressione non sono problemi allarmanti solo nei liceali, ma è un problema reale anche negli universitari, per i quali la pressione per lo studio diventa un palloncino che rischia di scoppiare.
Secondo l’Istat, in Italia il 33% degli universitari soffre di ansia, mentre il 27% di depressione. Soprattutto nei periodi di sessione d’esami i ragazzi toccano livelli di stress altissimi. Alcuni ricorrono all’uso di droghe per superare un esame dietro l’altro; alcuni arrivano anche a gesti estremi. Dei circa 200 suicidi annui fra gli under 24, la maggioranza riguarda studenti universitari.
Solitudine e vuoto
Ma di cosa hanno paura? Cosa li tormenta per pensare che non possa esistere un modo per cambiare la loro situazione? La paura del fallimento, di deludere qualcuno e sé stessi diventa una montagna troppo grande da scalare e si finisce per cadere o non provarci affatto. Alcuni si chiudono in loro stessi, in una torre d’avorio che li porta a isolarsi dalla realtà e vivere in solitudine, di solito per paura del prossimo.
È normale: ognuno di noi si è trovato in un determinato periodo della sua vita da solo, si è sentito – in maniera più o meno forte – abbandonato, magari ha avuto la percezione che ci siano chiasso, risate, bellezza nella vita degli altri. Per alcuni tutto questo rumore esterno viene percepito come un film muto, una vita che va a velocità supersonica mentre l’unica cosa che si riesce a sentire è il vuoto.
Diventa un vuoto difficile da colmare, un vuoto che porta nel baratro più buio, una notte senza la luna e le stelle, in una selva dove ci si sente azzannati dai propri pensieri e dalle proprie paure e non si vede una via d’uscita. Ci si sente come in un grande spazio aperto, nero, che risucchia tutti i colori della vita.
La generazione zeta è molto esposta alla dolorosa percezione della solitudine; si nasconde nei social, in cui si dà una versione distorta della propria persona, che magari piace sempre di più agli altri, ma sempre meno a sé stessi. Anche lo sfregio del proprio corpo diventa un richiamo di aiuto, una richiesta disperata di un giovane spaventato dalla vita. Il malessere generale deriva soprattutto dalla paura: la paura di non piacere, di fallire, di sbagliare. La solitudine non viene percepita come una scelta, ma come una condanna.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le persone sole hanno un rischio più elevato di incorrere in disturbi d’ansia, depressione, demenza, ictus e suicidio. Il rischio di morte prematura nelle persone sole è addirittura maggiore rispetto alle persone che fanno uso di tabacco. Si calcola che questa condizione colpisca tra il 5 e il 15% degli adolescenti e un quarto degli anziani in tutto il mondo. Queste stime però sono ancora basse e destinate a crescere nei prossimi tre anni: è urgente trovare il modo per promuovere i contatti sociali.
Salutare per salvare
Una cittadina svedese, Luleå, nell’ottobre scorso ha indetto la campagna «Säg hej», in italiano «Saluta». È stata accompagnata da un video dove un uomo saluta una donna che inizialmente non reagisce ma poi sorride, e così anche con un’anziana subito dopo. La cittadina si trova così a nord da non vedere quasi mai in inverno la luce del sole, e le temperature sono così basse da non permettere incontri casuali per strada, perché gli abitanti sono chiusi in casa da soli. Un «hej» cambia la giornata di qualcuno che fino a quel momento era solo con sé stesso: «il tuo saluto può fare la differenza».
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