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Hikikomori e Università

Un po’ di storia

Tutto ebbe inizio con un anime: Welcome to NHK. Si tratta di un anime giapponese dei primi anni duemila, che racconta la storia di un giovane hikikomori, tratto dall’omonimo romanzo di Tatsuhiko Takimoto. Così Marco Crepaldi venne a conoscenza del mondo degli hikikomori, se ne interessò, ci scrisse la sua tesi di laurea, e creò un’associazione, Hikikomori Italia.

Hikikomori… che strana parola… La traduzione letterale di questo termine giapponese è «stare in disparte»: dagli anni Ottanta, prima in Giappone, e poi anche nel resto del mondo, indica un disturbo adattivo sociale, soprattutto di adolescenti e giovani maschi, tra i 14 e i 30 anni, che vivono reclusi in casa, nella propria camera da letto, senza avere nessuna interazione fisica con l’esterno. Una reclusione autoimposta, «una pulsione all’isolamento fisico, continuativa nel tempo, che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente sviluppate». Così Crepaldi definisce l’hikikomori.

Una realtà tanto sconosciuta, ma altrettanto presente anche sul territorio italiano. Sono circa 100 mila gli hikikomori in Italia.

Questo disagio non va confuso con la dipendenza da web, nasce slegato dalle nuove tecnologie. Infatti, negli anni in cui si è sviluppato le nuove tecnologie non esistevano ancora. Sicuramente, però, l’avvento di Internet e la diffusione sempre più massiccia di pc e smartphone ne hanno accelerato l’evoluzione.

Di cosa stiamo parlando

Non frequentano la comunità, ma sono molto attivi nella community del web (vedi questo articolo precedentemente pubblicato qui su CampusNews). Grazie a Internet e alle nuove tecnologie, quello che prima era isolamento fisico e sociale, ora è quasi esclusivamente solo isolamento fisico. Infatti, gli hikikomori, non sempre, ma spesso, rimangono in contatto con il mondo esterno.

Se, però, da un lato, Internet ha permesso un isolamento più “soft”, dall’altro è stato anche il fattore che lo ha reso più accessibile, anche a coloro che non hanno una forte tendenza all’isolamento.

Senso del fallimento, vuoto esistenziale, disagio adattivo, paura del confronto con l’altro, paura del giudizio degli altri, insicurezza: ecco il mix di ingredienti che spingono ad autoisolarsi. Aggiungiamoci, poi, un po’ di competitività e pressione sociale, e l’hikikomori è fatto.

È un fenomeno che spesso si collega all’adolescenza, periodo turbolento, ma in realtà molti diventano hikikomori nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, tra i 20 e i 25 anni.

Il delicato periodo universitario

È interessante come Crepaldi ponga l’attenzione su questo periodo di passaggio al mondo del lavoro o al mondo universitario. Ed è proprio quest’ultimo che diventa terreno fertile per il nascere dell’hikikomori.

Quattro sono gli aspetti che, secondo Crepaldi, possono trasformarsi in vere e proprie insidie:

  • la libertà di scelta: è quasi paradossale, ma proprio la tanto sognata libertà può diventare un fattore negativo che rende confusi e insoddisfatti. L’infinità di strade che ci si trova davanti porta a dover prendere una decisione che a volte, per i più indecisi e insicuri, può rivelarsi sbagliata. Sbagliare la scelta universitaria o lavorativa viene percepito automaticamente come una perdita di tempo e in alcuni casi ciò può portare a una vera e propria fobia
  • la capacità di autogestione: non c’è più nessuno che controlli ciò che si fa, il procedere dello studio, ecc. Deve essere il singolo ad organizzarsi, tutto parte la lui/lei. Così, chi non è particolarmente ferrato nell’autogestione rischia di perdersi
  • l’orario delle lezioni: le lezioni universitarie spesso non seguono orari ben strutturati e fissi, come quelli delle scuole superiori. Non sempre hanno un ritmo giornaliero e, inoltre, possono a volte non essere frequentate. Può diventare difficile ricreare una routine, routine che è vero e proprio fattore protettivo e disincentivante all’isolamento
  • la struttura della classe universitaria: i corsi vedono una frequenza di molti studenti tanto che diventa impossibile conoscersi tutti e instaurare delle relazioni con i propri compagni di corso. Per chi è più timido e impacciato nelle relazioni sociali, questo può determinare una maggiore chiusura ed esclusione

Tutto ciò, unito a motivi familiari e caratteriali, può portare a diventare hikikomori, a isolarsi nella propria camera, a considerare la società esterna tanto negativa da non volerci più avere a che fare.

L’università non è solo questo: c’è tanto di positivo. Ma è importante tenere in considerazione il fatto che non tutti vivono allo stesso modo il periodo universitario: per molti è sinonimo di relazioni, incontri, crescita, libertà, realizzazione personale, trampolino di lancio, feste, e aperitivi; ma per altri può rivelarsi un vero e proprio buco nero.

Per approfondire questo tema molto ampio:

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Gloria Bott

26 anni, laureata in Lettere Moderne. Tra un libro e l'altro amo camminare per le montagne che mi circondano.

1 Commento

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