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Università in carcere a Bologna: una scommessa aperta e non ancora vinta

La situazione degli studi universitari in carcere: molte buone idee, ma anche molte criticità ancora da risolvere

Il valore dell’istruzione

L’ordinamento penitenziario italiano considera l’istruzione un mezzo fondamentale di rieducazione e dal 2000 prevede altresì che possano essere organizzati in carcere corsi di scuola secondaria superiore e che i detenuti possano frequentare corsi di studio universitari.

Solo così anche coloro che conoscono nel proprio percorso di vita situazioni marginalizzanti – come quelle detentive – possono provare a riprendersi il proprio progetto di vita.

Il tempo del carcere non può essere un tempo vuoto o un tempo di attesa della fine della pena, ma luogo dove il tempo assume dei significati attraverso le cose che si fanno: è questo il valore dell’istruzione.

Le opportunità di formazione universitaria fornite in modo continuativo, accessibili, flessibili, garantite allo stesso livello di qualità di quelle offerte all’esterno, hanno il loro fondamento nella democratizzazione, nell’uguaglianza e nell’inclusione, ovvero nella garanzia del diritto.

Le esperienze italiane di studi universitari in carcere iniziano a costituirsi intorno agli anni Sessanta, prima della riforma dell’Ordinamento Penitenziario. Da allora, per i detenuti, si sono moltiplicate le possibilità di poter accedere ai corsi universitari, anche grazie alle facilitazioni economiche messe a disposizione da alcuni atenei ai cambiamenti introdotti dall’attuale Ordinamento Penitenziario.

È però solo con la nascita dei Poli Universitari Penitenziari (PUP), il cui primo è stato istituito nel 1998 con l’Università degli studi di Torino, che si dà piena attuazione a quanto detto.

Università e carcere a Bologna

A Bologna un po’ di anni più tardi è il prof. Giorgio Basevi che volle promuovere l’incontro tra l’Università e il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria e addivenire, con la sottoscrizione di un protocollo d’intesa, alla creazione strutturata di un PUP.

Lo stesso Basevi diventò delegato del rettore per il diritto allo studio delle persone private della libertà e si individuò nella Dott.ssa Santangelo il referente amministrativo che aveva il compito di sostenere e collaborare con il delegato nei rapporti con i diversi uffici dell’amministrazione di ateneo mentre l’educatore Pirani era il referente della Direzione della Casa circondariale.

Si è arrivati ad individuare nel 1°D della casa Circondariale di Bologna la sezione detentiva in cui si poteva offrire idonea sistemazione agli studenti in camere singole e che potesse favorire le attività di studio e i rapporti con i docenti e in cui ci fossero spazi adeguati alla didattica e che favorissero nel contempo l’accesso degli studenti a biblioteche o altri strumenti didattici necessari.

Nella sezione, che attualmente gli universitari condividono con la squadra del rugby, sono altresì garantiti e agevolati gli accessi dei tutor, dei docenti e di altro personale amministrativo, i quali svolgono funzioni inerenti la didattica universitaria e seguono i percorsi di studi.

È anche garantito il collegamento intranet che renda fruibile l’accesso ai siti dell’Università. L’importanza di questo aspetto è evidente, in quanto consente il reperimento di tutte le informazioni sui corsi di studio e sui programmi degli insegnamenti, possibilità di gestire la propria carriera di studente, fruizione degli insegnamenti a distanza e delle varie forme di didattica on line.

Limiti, criticità, tentativi di soluzione

Ma, su una sessantina di detenuti iscritti all’Università nel carcere di Bologna, solo una quindicina sono allocati nella sezione dedicata al PUP mentre gli altri dividono le altre sezioni di detenzione.

Per questi altri detenuti diventa veramente difficile studiare: sono costretti ad arrangiamenti per ricavare spazi fisici e mentali utili alla concentrazione; leggere quando gli altri sono all’ora d’aria, quando i compagni di cella scendono per lavorare o quando si recano alle altre attività trattamentali; ciò significa spesso dover rinunciare alle altre occasioni per uscire dalla cella o per partecipare al trattamento. Spesso i detenuti sono costretti a rinchiudersi nel bagno della cella per potersi sottrarre, nelle ore di convivenza forzata, alla televisione perennemente accesa o alle conversazioni.

Eppure gli spazi detentivi nominati Poli Universitari Penitenziari coincidono di fatto con quelli che dovrebbero essere garantiti, per standard e caratteristiche di vivibilità, a tutti detenuti comuni. Invece, data la loro eccezionalità, vengono configurati, nella percezione comune di tutti gli attori del campo penitenziario, come destinazioni “premiali”. Un altro carcere dentro il carcere, le cui condizioni di accesso sono definite in modo nebuloso e mai formalizzato e i cui meccanismi di permanenza non appaiono mai definitivamente sanciti. Insomma, ampi margini di indeterminazione che costituiscono i presupposti per le assegnazioni e gli spostamenti discrezionali (premiali e punitivi).

Le facoltà più gettonate dai detenuti sono ovviamente quella di Giurisprudenza – e ciò è dovuto all’interesse predominante di capire e seguire meglio il proprio status giuridico e la sua evoluzione – ma anche quella di Agraria, Lettere, Sociologia, Scienze Politiche, Scienza della Comunicazione, Storia.

Un altro aspetto non secondario della difficoltà incontrata dal PUP di Bologna è stata quella di poter disporre di un numero di tutor che potessero affiancare i detenuti nello studio.

Il lungimirante prof. Basevi inventò l’Associazione Liberi di studiare che ha offerto in questi anni un utilissimo e quanto mai necessario supporto al percorso di studio di tantissimi studenti, soprattutto della Facoltà di Giurisprudenza. Un’associazione formata da studenti Unibo che hanno voluto trasmettere le proprie competenze agli studenti detenuti. Un’esperienza unica, una delle migliori pratiche messe in campo, in grado di creare occasioni di incontro e di scambio tra la popolazione privata della libertà personale con il mondo esterno.

Ora l’Università di Bologna su questa scia ha voluto direttamente formare tra i suoi studenti un gruppo di tutor per andare a colmare il vuoto che si creava per qualche facoltà.

Il prof. Paolo Zurla, nuovo delegato del rettore, che ha raccolto l’eredità di Basevi e che è affiancato dalla dott.ssa Coralli come funzionario giuridico pedagogico delegato dalla Direzione del carcere, l’ha annunciato nel corso della giornata di orientamento universitario svoltasi nella sala cinema del carcere.

Un altro aspetto che gioca un ruolo non secondario nel percorso di studio del detenuto è rappresentato dalle scarse risorse investite dall’Università nel materiale di studio e che spesso sono oggetto di un continuo processo di contrattazione. Infatti in carcere nulla è garantito, ma solo consentito, quindi in compenso tutto può essere ritirato o vietato in qualsiasi momento.

Un’altra lacuna che può essere evidenziata è la timidezza dell’Università di Bologna nell’affrontare il problema del post-carcere. Nonostante una serie di facilitazioni normative e fiscali, che dovrebbero incentivare l’impiego dei detenuti nel mondo produttivo oltre che sociale, la società è refrattaria, se non avversa, al loro reinserimento. E l’università non è da meno. E allora val bene raccogliere l’invito e la sfida lanciata dal prof. Basevi che auspicava la creazione delle sezioni tecnico-amministrative nelle carceri, in cui i detenuti iscritti all’università potessero formarsi e lavorare come se fossero parte integrante del personale amministrativo delle università. Certo un’idea visionaria che incontrerebbe resistenze tanto burocratiche quanto sindacali. Ma solo andando a sbattere contro dei muri si può sperare di incrinarli e gradualmente farli cedere.

Fabrizio Pomes

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Nevalelapena

Nevalelapena è un progetto attivo dal 2012 nella Casa circondariale di Bologna. Raggruppa settimanalmente un gruppo di 12 persone detenute e alcuni volontari per un Laboratorio di giornalismo. I testi scritti dai singoli vengono valutati e modificati dalla discussione di gruppo. Nevalelapena collabora stabilmente con Bandiera Gialla, Messaggero cappuccino, Avvenire-Bologna7

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