I vincitori e i vinti
Dopo sei settimane di combattimenti, lo scorso 9 novembre, Armenia e Azerbaigian hanno dichiarato il cessate il fuoco e firmato un trattato di pace di cinque anni. Questa soluzione è stata imposta dalla Russia, che se n’è assunta il ruolo di garante, non potendo intervenire nel conflitto direttamente, perché l’invio di volontari sarebbe risultato inutile contro l’esercito azero, dotato di droni armati.
I vincitori indiscussi sono dunque l’Azerbaigian e la Turchia. Quest’ultima ha sostenuto senza riserve l’azione militare dell’alleato, guadagnando il via libera per accrescere la propria influenza nel Caucaso.
Nikol Pashinian invece riveste il ruolo di capro espiatorio: nonostante sia il presidente dell’Armenia da soli due anni mezzo e nonostante sembri che sia stato costretto dalla Russia ad accettare l’accordo di pace, dopo la firma del trattato la sede del governo è stata presa di mira dalla popolazione che non ha nascosto il proprio malcontento e Pashinian è stato accusato di tradimento dai suoi compatrioti.
I mercenari
È stato dimostrato con quasi totale certezza l’impiego nel conflitto di volontari stranieri (mercenari) da entrambe le parti. Secondo le Nazioni Unite l’Azerbaigian, aiutata dalla Turchia, si sarebbe servita di combattenti siriani, anche in prima linea, motivati da guadagni privati e dalla promessa che, in caso di morte, ai loro parenti sarebbe stato versato un risarcimento e sarebbe stata concessa la nazionalità turca.
Le circostanze risultano ancora più complesse se si tiene presente che alcuni di questi mercenari sembrano essere affiliati a gruppi armati macchiatisi di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani nel conflitto in Siria e che il loro impiego in Nagorno Karabakh abbia comportato il rischio di ulteriori abusi del diritto internazionale.
È altresì vero che si siano verificati diversi attacchi deliberati ad aree circostanti il Karabakh, a discapito di infrastrutture come scuole e ospedali e a vittime civili, tra cui minori e giornalisti.
Il dispiego di mercenari però coinvolge anche l’Armenia: il contesto e il preciso arruolamento di cittadini stranieri da parte del governo armeno non è ancora del tutto accertato e per questo le Nazioni Unite hanno istituito un gruppo di ricerca.
Conclusioni
Sebbene non sia possibile parlare ufficialmente di perdite territoriali per l’Armenia, è chiaro che la principale preoccupazione del Nagorno Karabagkh oggi sia la sopravvivenza. Dal momento che l’Armenia non può più appoggiare la regione e che l’esercito azero è stanziato nella città di Shusha, la presenza dell’Azerbaigian in quest’area è particolarmente pressante poiché non è affatto certo che, una volta rafforzata la sua influenza sul territorio nei prossimi cinque anni, il governo azero non decida di riaprire le ostilità. Per adesso, uno degli effetti immediati della vicenda è stato che molti civili, di origine armena, hanno incendiato le proprie abitazioni pur di non lasciarle nelle mani dei nemici:
«Credo che per uno che crea, è veramente difficile lasciare una sua creazione a un altro che ancora oggi, nel secolo XXI, usa pratiche come tagliare teste, spellare vivo un soldato, tagliare le orecchie di un ottantenne. È veramente difficile, quindi diventa comprensibile un’azione così apparentemente assurda». Così ha commentato M., che piange un cugino morto e uno disperso, entrambi militanti nell’esercito armeno.
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