Quando la tua vita viene stravolta, seppur per qualche mese, e ti ritrovi costretto a rimanere a casa, non sono molte le cose che puoi fare per passare il tempo. La parola d’ordine diventa reinventarsi. C’è chi si rifugia nello studio, chi in lavoretti vari e chi ne approfitta per restare in forma. Ma cosa fare quando la noia avanza? Deve essere stata sostanzialmente questa la domanda che si sono poste le sedici milioni di persone che hanno sottoscritto un abbonamento alla piattaforma Netflix in questi sciagurati primi tre mesi del duemilaventi. Già da alcuni anni Netflix è diventato un vero e proprio fenomeno sociale ed i suoi numeri non fanno altro che sottolineare l’imponenza della società americana: centottantadue milioni di utenti complessivi ed un palinsesto pressoché infinito tra film e serie tv lasciano un po’ spaesati.
Quantità non è però sinonimo di qualità; sempre più spesso ci si imbatte in lavori discreti, che puntano al guadagno piuttosto che alla profondità del messaggio.
Non è questo il caso di El Hoyo, entrato a marzo a far parte del palinsesto di Netflix, suscitando grande clamore, tra critiche ed elogi, nel tentativo di emergere ed imporsi dal punto di vista dei contenuti. Una trama forte, tra chiari rimandi alla situazione globale attuale, scene crude, a tratti violente e sanguinarie ed un finale inaspettato, non possono lasciare indifferenti: o lo si odia, o lo si ama.
Il film è ambientato in una sorta di prigione verticale, la fossa, con un buco al centro. Ad ogni piano vivono due persone che ogni mese sono trasferite casualmente ad un livello diverso. Attraverso il buco che collega le celle, una piattaforma carica di pietanze di ogni genere scende quotidianamente per sfamare i prigionieri. Il protagonista, Goreng, decide intenzionalmente di accedere alla fossa in cambio di un attestato di permanenza e con la speranza di riuscire a smettere definitivamente di fumare. L’utopia della fossa è di creare un clima di auto gestione, promuovendo atti spontanei di solidarietà, permettendo in questo modo a tutti i prigionieri di mangiare a sufficienza, a prescindere dal livello in cui si trovano. Ciò che realmente accade è però molto lontano da questo intento teorico.
Senza ombra di dubbio il film si scaglia contro il sistema gerarchico capitalista del mondo odierno, nel quale, metaforicamente, chi sta nei piani alti si abbuffa più che può, aggrappandosi a ciò che potrebbe da un momento all’altro svanire, chi si trova in mezzo vivacchia, mentre chi sta in basso non può che ricorrere a soluzioni estreme per sopravvivere. Ma questa è solo la lettura più semplice ed immediata che viene proposta. Fra chiavi d’interpretazione religiosa, richiami cinematografici e letterari, ciò che più affascina sono le sollecitazioni artistiche.
El Hoyo è un pendolo che oscilla tra Goya e Picasso: El Hoyo è Il sonno della ragione genera mostri, quando Goreng è costretto a rinnegare i propri ideali pur di sopravvivere, nella notte a tinte rosse dove l’uomo arriva a toccare il fondo; El Hoyo è Guernica, nella denuncia morale, nel saper rappresentare la sofferenza e l’avarizia nella sua forma primordiale.
In questo inno tutto spagnolo, Goreng è il Don Chisciotte moderno, protagonista del romanzo di Miguel de Cervantes, libro che ha deciso di portare con sé nella fossa. Non resta che guardare il film per capire se la sua è stata una battaglia contro i mulini a vento, o se invece è riuscito a scardinare i meccanismi della realtà di cui fa parte.
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