Abbiamo dedicato uno dei nostri giovedì comunitari a una tematica che non sembra avere molta rilevanza e molta eco in Italia e sui mezzi di comunicazione italiani: il commercio di armi portato avanti dal nostro Paese. Ce ne ha parlato un nostro ex-coinquilino di comunità, che a marzo si è laureato in Giurisprudenza scrivendo una tesi proprio su questo argomento. Non ci inoltreremo in discorsi giuridici e accademici, ma ci piace riportare alcuni elementi chiave che possano suscitare l’interesse di chi ci legge.
L’Italia si trova al secondo posto nella classifica mondiale di Paesi esportatori di armi leggere. Quelle armi leggere che sono responsabili del 90% delle uccisioni avvenute nel corso di tutti i conflitti che si sono susseguiti dalla Seconda guerra mondiale ad oggi (Periodico IRIAD 3/2019). Al nono posto, invece, come Paese esportatore di armamenti pesanti.
Negli ultimi anni sono apparse alcune notizie sui giornali in merito al disastroso conflitto in Yemen e denunce di un coinvolgimento italiano in alcuni possibili crimini di guerra: in particolare, l’uso di bombe prodotte in Sardegna e utilizzate dall’esercito saudita in attacchi a zone abitate da civili, lontano da obiettivi militari, violando così il diritto internazionale dei conflitti armati.
In Italia, fino al 1990, il commercio di armi era coperto da segreto militare. La mobilitazione della società civile, che organizzò centinaia di incontri in tutta la penisola e assemblee con gli stessi operai impiegati nelle industrie di armi, portò alla nascita di una nuova legge, la legge 185/1990 che introdusse, per l’esportazione di materiale d’armamento, il sistema dell’autorizzazione.
Tre sono oggi gli strumenti che a livello italiano ed europeo vengono utilizzati per gestire, controllare e limitare il commercio di armi: la legge italiana del 1990, il Trattato sul commercio di armi, adottato dalle Nazioni Unite e la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’Unione europea.
Mentre ascoltavamo le spiegazioni e gli approfondimenti del nostro giovane ospite-relatore, il pensiero che ci accompagnava era questo: “Ma noi cosa possiamo fare? Sono questioni talmente lontane dalla nostra vita quotidiana…”. Insomma, in poche parole, un senso di impotenza ci pervadeva. Un’impotenza che rischia spesso di trasformarsi in indifferenza. Fortunatamente abbiamo trovato risposta ai nostri dubbi.
Ognuno di noi può, nel suo piccolo, dare un contributo sfogliando semplicemente l’elenco e le tabelle delle banche armate, cioè tutti quegli istituti di credito che mettono a disposizione i loro conti correnti per l’accreditamento del denaro che le grandi aziende armate incassano vendendo i loro prodotti all’estero.
Controllare se la propria banca rientra oppure no in questo elenco è il primo passo che possiamo fare. Il secondo è scegliere una banca che non sia presente nella lista delle banche armate.
Qui sotto riportiamo alcuni link utili per chi volesse approfondire il tema e tenersi aggiornato.
www.enaat.org: la rete ENAAT (European Network Against Arms Trade)
www.sipri.org: SIPRI, istituto che raccoglie professionalmente dati sulle armi a livello mondiale
www.smallarmssurvey.org: Small Arms Survey, progetto di ricerca e raccolta dati sulle armi leggere
www.facebook.com/problemadeglialtri/: pagina Facebook da cui abbiamo tratto la vignetta che illustra il nostro articolo e continua a pubblicare materiale sulla questione degli armamenti.
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