Quella di Hayao Miyazaki è una figura ormai diventata mistica nel mondo della Cinematografia mondiale. Essere riuscito a sdoganare quella che è l’immagine del Cinema di animazione (non un genere a sé stante, ma una vera e propria tecnica comunicativa) è senza dubbio un motivo di vanto che gli ha permesso di diventare a tutti gli effetti un maestro della settima arte.
Il suo ultimo capolavoro, Il ragazzo e l’Airone, rappresenta un capitolo (finale?) di quella che è stata una carriera straordinaria, piena zeppa di simbolismo, quella poetica legata a dei temi ben precisi che hanno colpito nel profondo tutti gli appassionati dei suoi film.
Ed anche in questo caso, con il lungometraggio uscito nelle sale italiane l’1 gennaio del 2024, c’è stato un colpo netto e sferrato proprio nei cuori di chi aspettava con ansia questa ennesima pellicola. Il viaggio di formazione di Mahito, piccolo protagonista della fiaba raccontata da Miyazaki, è stato costruito in modo da poter arrivare a quante più persone possibile.
Dai più piccoli ai più grandi, passando tra gli appassionati di Cinema, gli amanti del genere animato ma anche i curiosi della capacità comunicativa di uno stile cinematografico da sempre etichettato come più adatto per bambini, almeno in quella che è la vecchia mentalità occidentale.
È stato proprio quest’ultimo il muro distrutto da Miyazaki, che proprio grazie ai suoi film è riuscito a veicolare messaggi ben chiari. Dal Castello Errante di Howl, passando per La città incantata, arrivando alla Principessa Mononoke, sono soltanto alcuni dei film che hanno incarnato a pieno l’essenza di quelli che sono i messaggi sui quali il maestro giapponese ha voluto modellare tutta la sua filmografia.
Il ragazzo e l’Airone: il viaggio di Mahito
Chi conosce e ha apprezzato i film di Miyazaki sa benissimo quali sono le tematiche alle quali il regista tiene di più. Anche ne Il ragazzo e l’Airone il tema della guerra è centrale (tutto inizia nella Tokyo del 1943), e anche in questo caso è proprio la guerra a lanciare il viaggio di Mahito: dopo la scomparsa di sua madre, morta in seguito a un incendio che ha colpito la città giapponese e l’ospedale dove era in cura, suo padre decide di prendere il figlio e trasferirsi lontano da Tokyo, in campagna, esattamente a un anno di distanza dal tragico evento.
Qui Mahito comprende e si confronta con la storia d’amore tra suo padre Shoichi e la sorella di sua madre, Natsuko. Alle prese con il lutto e la consapevolezza di una nuova vita da affrontare lontano da sua madre e dall’infanzia ormai distrutta da guerra e dolore, Mahito si ritrova a entrare in un mondo fantastico.
A prenderlo per mano è proprio un Airone Cenerino, personaggio singolare e che rispecchia tutta l’essenza di quella fantasia alla quale Miyazaki ha dato forma in tutti i suoi film. L’Airone, infatti, non è un animale normale: al suo interno si nasconde qualcos’altro, quello che sembra un piccolo uomo, che presta la voce a questa bestia cosi bella e al tempo stesso così misteriosa in questa storia particolare, fiabesca ma al tempo stesso fatta di creature bizzarre.
Il viaggio di Mahito viene intrapreso all’interno di una torre abbandonata a pochi passi dalla sua nuova casa, all’interno della quale lo stesso protagonista si addentra per inseguire la zia Natsuko, allontanatasi spontaneamente proprio verso questo luogo che cela un mondo fatato. Al seguito dell’Airone si sviluppa poi la trama di un viaggio straordinario.
Il ragazzo e l’Airone: guerra, ecologismo, politica e molto altro
Nella torre scopriamo tanti riferimenti a quelli che sono stati i vecchi film di Miyazaki. Richiami alla filosofia giapponese, a Dante Alighieri e all’inizio del viaggio nell’Inferno, con l’Airone a fare da Caronte in questo mondo sommerso fatto di anime perdute, esseri viventi che rappresentano inevitabilmente l’essere umano e tutte le debolezze delle strutture sociali che ci circondano.
E cosi Mahito si incammina in quella che è una vera e propria scala sociale, e lo fa partendo dal basso, ormai consumato dalla fame e dalla speranza che si frantuma al cospetto della ferocia nata dalla povertà. Il simbolismo che Miyazaki propone, con riferimenti costanti alla scala gerarchica delle società attuale, vittima di consumismo ed individualismo, pare evidente, ma soprattutto sconvolgente.
Risalendo con un fare puramente “dantesco”, Mahito si ritrova sulla cima della Torre al cospetto del potere, l’avidità con la quale questo ha portato questo mondo incantato a un passo dalla distruzione. Toccherà proprio a Mahito, alla fine di questo viaggio interiore (ma al tempo stesso immaginato da Miyazaki, con tutti i connotati della nostra società), riscrivere o accettare le sorti prestabilite dagli eventi della Torre, che inevitabilmente avranno anche delle conseguenze sulla sua vita nel mondo reale.
E voi come vivrete?: gli infiniti piani di lettura di Miyazaki
Il film, come noto, è liberamente ispirato al romanzo di Genzaburō Yoshino, scritto nel 1937, E voi come vivrete?. Miyazaki, a onor del vero, ha lasciato pochissimo di quanto scritto da Genzaburō Yoshino nel suo capolavoro: c’è una citazione letterale al romanzo all’interno film, ma poco altro. Anche in questo caso c’è un messaggio chiaro che il registra vuole trasmettere: la propria identità valorizza il nuovo, il futuro e quello che verrà; va bene guardare al passato, ma senza restare ancorati in esso, andando cosi a limitare quello che siamo e quello che vogliamo, la nostra creatività e la sete di vita della nostra anima.
È questo che alla fine racchiude anche l’epilogo del viaggio di Mahito. La domanda alla quale il protagonista si ritrova a dover rispondere è un po’ il titolo del libro di Yoshino: un bivio, una scelta. A Mahito il compito di portare a compimento il suo viaggio interiore, un percorso di formazione, ma anche di elaborazione del lutto. Al tempo stesso, però, il protagonista (ma soprattutto noi spettatori di questo incantevole spettacolo animato) è chiamato a comprendere l’universo e la sua intrinseca identità: non lasciare al “quanto accaduto” la libertà di decifrare noi stessi, ma piuttosto ritrovare nel presente e in “quello che accade adesso” la libertà di poterci esprimere, di poter riscrivere la nostra vita, di poter essere in tutto e per tutto. Al netto di tutto, anche della sofferenza.
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