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Volontariato all’estero/2: perché sì

Ascoltare le differenze, esserne consapevoli, assumersi responsabilità

Certo, leggere le parole dello scorso pezzo non è molto incoraggiante. In pochi, al momento di una partenza per un’esperienza di volontariato all’estero, si trovano davvero in una condizione di equilibrio interiore, apertura mentale e capacità di adattamento tali da sentire di poter corrispondere a quanto espresso in quell’intervento. E nemmeno io probabilmente lo ero, la prima volta che sono partita.

Anche in questo caso però le parole ci aiutano. Si tratta, appunto, almeno all’inizio, di esperienze, esperienze personali che arricchiscono prima di tutto il volontario e, per questo, lo pongono in una posizione diversa rispetto a chi pensa di partire per cambiare le sorti del mondo o salvare le vite di tanti: lo pongono in una posizione di servizio.

Partire con la consapevolezza che si proverà a fare del proprio meglio per essere utili, facendo quel che si può in contesti difficili, ma che al ritorno probabilmente ci porteremo a casa una ricchezza ben più grande di quella che avremo lasciato, aiuta molto a non rimanere scottati e ad affrontare con uno spirito più umile l’esperienza. Egoistico? Molti, ben più autorevoli di me, hanno detto che la vera felicità risiede nel donare se stessi e il proprio amore all’altro.

Al ritorno, le ferite che ci portiamo nel cuore sono il seme di una sensibilità maggiore che consente attenzioni e visioni più profonde; i sorrisi e gli occhi intensi delle persone che abbiamo incontrato ci danno la forza di proseguire in un cammino di impegno e determinazione verso una giustizia che non si fermi fuori dalla porta di casa; le tante diversità che abbiamo imparato a conoscere ci insegnano che la paura nasce dall’ignoranza, che l’accoglienza è la chiave per un mondo migliore, che si può vivere in modo diverso, più equo e rispettoso, ed essere felici.

Uno stimolo a partire, in effetti, è anche quello di conoscere un po’ di più il mondo che ci circonda, così vario e mai scontato, con quell’atteggiamento di stupore che contraddistingue i bambini che devono ancora scoprire tutto, senza pregiudizi, ma solo con la curiosità e la fame di sapere. Confrontarsi con altre culture e civiltà apre la mente e permette di sviluppare una visione più ampia, di essere più tolleranti, più capaci di capire gli altri – ognuno con la propria storia –, di trovare soluzioni e risposte innovative e non scontate.

Tuttavia, il desiderio di scoprire il mondo, che sia durante un’esperienza di volontariato o per turismo, porta con sé delle responsabilità. Lessi, tanti anni fa, un testo forte e provocatorio (tradotto da La Repubblica qui), che mi ha molto aiutata a riflettere sull’atteggiamento, anche involontario, che noi occidentali abbiamo rispetto a situazioni e luoghi che sentiamo il bisogno di vedere con i nostri occhi, di toccare con mano, per una maggiore consapevolezza, per poter dire che lo abbiamo visto e ci ha sconvolto.

Più in generale, il tema della responsabilità che ogni uomo occidentale ha rispetto al resto del mondo (in particolare a quello più in difficoltà) credo sia essenziale. Se in pochi possiamo vivere con le comodità e il benessere che diamo per scontati (ma che conosciamo bene quando ne veniamo anche solo in parte privati), è perché in troppi non sanno nemmeno di cosa si tratti. Il tema è molto ampio e la discussione ancor più lunga e priva probabilmente di risposte definitive, per cui mi limito a citare le importazioni a basso costo che fanno comodo a noi perché ci permettono di poter avere maggiore potere di acquisto, maggior benessere nell’accumulare “cose”, ma prevedono uno sfruttamento e una privazione di diritti all’origine (un esempio fra i tanti, se vuoi approfondire, è quello dell’estrazione di cobalto in Congo-RDC per la fabbricazione dei nostri telefonini).

Siamo estremamente interconnessi, anche se nessuno ce ne parla, anche se è meglio non sapere da dove proviene la nostra ricchezza, non vedere certe immagini. Ecco: un ottimo motivo per partire è il senso di responsabilità, quel sentirsi davvero cittadini del mondo, che ci impone di essere persone informate e di attivarci prendendo posizione e prestando il nostro aiuto laddove ci sono i dimenticati, gli inascoltati, laddove c’è più bisogno perché le risorse vengono rubate e i servizi non esistono.

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Eleonora Balestri

Capo scout AGESCI e pediatra presso la terapia intensiva neonatale di Reggio Emilia, ha vissuto varie esperienze di volontariato all’estero tra cui a San Paolo e Goiania in Brasile, a Calcutta in India e a Gulu in Uganda. Anche quest’anno dovrebbe partire con l’ONG Medici con l’Africa Caumm per un progetto di neonatologia in Mozambico. Pandemia permettendo

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