Rifletto spesso sulla differenza tra fare l’università e prendere una laurea.
Mi rendo conto che ho iniziato il mio percorso universitario con l’idea ben precisa di fare l’università. O meglio, neanche così precisa, perché non avevo mai preso in considerazione l’idea che ci fosse qualcuno che volesse semplicemente prendere una laurea. Legittimo.
Ma sono due cose, a mio parere, molto diverse. Nel primo caso, si tratta di ricercare un ambiente avvolgente che al contempo fornisca nuove conoscenze e competenze e formi la persona, dal punto di vista privato e professionale. Nel secondo caso – senza voler svalutare una prospettiva altrettanto legittima – si parla, secondo me, di totalizzare crediti per ritrovarsi un titolo in mano, passaggio necessario per svolgere una determinata professione.
Come dicevo, tra queste due prospettive quel me romantico che usciva dal liceo sceglieva nettamente la prima. Faccio psicologia, ma non perché mi serve la laurea per fare lo psicologo. In effetti, ho scelto psicologia per fare psicologia, e poi si vedrà. Cercavo un luogo dove trovare le risposte alle domande che già mi ponevo da me, sicuro che quello che avrei imparato mi sarebbe stato utile in ogni caso, al di là del mio futuro professionale.
Per la magistrale è stato diverso. Ho cercato prima di proiettarmi sul cosa fare da grande e poi di scegliere il mio percorso di conseguenza. Ma credo che il punto sia un altro.
Si tratta, a mio parere, non tanto del modo in cui si sceglie, ma di come si vive l’università. Si tratta di decidere se vogliamo un percorso che ci formi come persone o se preferiamo trasformare gli esami in crediti da segnare sul libretto e la laurea in un’etichetta da aggiungere al curriculum.
Purtroppo, la mia esperienza è che oggi l’università ricalca piuttosto fedelmente la seconda prospettiva, complice una progressiva smaterializzazione dell’insegnamento, che se da una parte consente indubbi vantaggi pratici, lascia tuttavia indietro una buona fetta di quelle relazioni che a mio parere dovrebbero essere una componente fondamentale del percorso formativo della persona, e che forse costituiscono buona parte del valore aggiunto dell’università.
Non è mia intenzione fare un discorso di colpe – si potrebbe infatti obiettare che un seminario che non mette in palio crediti formativi è un seminario vuoto, o che gli insegnamenti virtuali sono sempre più richiesti e vedranno certamente uno sviluppo in futuro –, ma riportare semplicemente un’esperienza e una prospettiva di approccio al mondo universitario.
Indipendentemente dall’origine del fenomeno, credo che stiamo assistendo a una trasformazione dell’università, che nella mia esperienza è sempre più una fabbrica di lauree e sempre meno una scuola di vita.
Credo valga dunque la pena decidere come accogliere questo cambiamento.
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