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Conversazione tra studenti sulla situazione pandemica (e non solo) in Cisgiordania

In questo particolare frangente, caratterizzato dalla pandemia del covid-19, un po’ tutti siamo portati a concentrarci sul nostro orticello sotto casa: i maggiori media italiani si stanno occupando praticamente solo di quello che si sta verificando in Europa o al massimo negli Stati Uniti.

La copertura mediatica sul resto del mondo è quasi inesistente e vengono riportati solamente singoli episodi contestualizzati alla bell’e meglio. Quindi ho pensato: Ehi, ma io conosco delle persone che vivono alcune di queste realtà! Sarebbe bello poter discutere con loro relativamente alle vicende legate alla situazione della pandemia (e non solo) nei loro paesi.

Ho deciso allora di porre alcune domande a un ragazzo palestinese che studia all’università qui in Italia da diversi anni, per farmi raccontare il suo punto di vista sulla situazione della martoriata Terra Santa.

Com’è l’attuale situazione nei territori palestinesi?

La situazione politica in Palestina ora è “abbastanza” tranquilla. Questo secondo me perché, in questo periodo particolare, ogni singola realtà locale palestinese è interessata principalmente a cercare di risolvere i propri piccoli o grandi problemi. Anche se durante il primo lockdown, tra giugno e i primi di luglio, c’è stato quell’accordo tra Trump e Israele con l’obiettivo di prendere la restante parte del nostro paese, però, per fortuna, questo non ha avuto luogo. A Gaza, nel territorio della Striscia, invece, è sempre attiva, purtroppo, la guerra tra gli israeliani e i palestinesi.

Cosa diresti sulla contrapposizione tra Israele e la Palestina?

La soluzione giusta per risolvere ogni problema tra le parti sarebbe quella di arrivare a fare la Pace. Una strada sarebbe quella di riconoscere e accettare il fatto che quello che ha preso Israele è per gli israeliani mentre quello che è rimasto a noi palestinesi dovrebbe essere tutto per noi, senza ulteriori problemi, appropriazioni e, soprattutto, senza guerra. Ma questa soluzione non la vuole nessuno perché noi palestinesi vorremmo tutto il nostro paese, mentre gli israeliani vogliono continuare a prendere i territori rimasti nelle mani palestinesi. Quindi la situazione è, e rimarrà, molto complicata. Da un punto di vista finanziario la situazione potrebbe migliorare, se riuscissimo ad avere una nostra moneta. Infatti adesso utilizziamo la moneta israeliana, lo shekel.

Ma la cosa più importante è il fattore psicologico: ci piacerebbe avere la libertà per poter fare e costruire le nostre case, città, edifici, negozi… senza avere continuamente l’idea e la paura che queste da un momento all’altro possano venir distrutte dagli israeliani.

Per questi motivi sono tantissimi i palestinesi che hanno abbandonato e stanno lasciando la loro terra d’origine.

Come si sta vivendo la pandemia di covid-19 in Cisgiordania? Che ricadute ha avuto l’aggravamento di una così già precaria situazione sulla popolazione?

Questa pandemia è orribile e la situazione in Cisgiordania è tragica. La vita di noi palestinesi è già limitata di per sé, ma ora la gente sta impazzendo, proprio perché non sa come può continuare a lavorare e perciò a vivere. Infatti la maggior parte della popolazione lavora nel settore del turismo, come guide o come venditori di oggetti tradizionali della nostra cultura: la pandemia ha completamente fermato il loro lavoro, avendo bloccato i flussi turistici. In Palestina, in generale, e a Bayti Laḥm (Betlemme), in particolare, il turismo ci sarebbe sempre ed è una fonte di guadagno attiva durante tutto l’anno. Purtroppo molte persone, ogni giorno, continuano a perdere il loro lavoro a causa di questa pandemia.

Tu, insieme agli altri ragazzi e ragazze palestinesi che conosci, come state vivendo ed affrontando questo periodo in Italia?

Siamo molto solidali gli uni con gli altri e cerchiamo comunque di stare uniti anche per poter affrontare le diverse problematiche che si sono sviluppate in seguito allo scoppio della pandemia. Adesso noi siamo bloccati qui perché è molto complicato poter tornare a casa per le vacanze. Se si volesse effettuare il viaggio di ritorno ci toccherebbe passare prima per la Giordania e poi entrare in Palestina, siccome noi non possiamo viaggiare tramite l’aeroporto che c’è in Israele. Inoltre anche la situazione in Giordania è grave dal punto di vista sanitario (è prevista la quarantena per chi arriva) e i biglietti aerei sono molto costosi: quindi fare il viaggio sarebbe inutile oltre che dispendioso, perché, terminata la quarantena, il periodo delle vacanze sarebbe già finito. Comunque immagino che questa situazione la stiano vivendo un po’ tutti gli stranieri che vorrebbero tornare a casa per le feste…

Vorresti dire qualcosa ad altri studenti che leggeranno questa breve intervista?

A tutti gli studenti che, come me, hanno dovuto lasciare le loro case e il loro paese per poter continuare a studiare dico che hanno fatto una scelta coraggiosa ma giusta. Va benissimo andare a studiare fuori, imparare cose nuove, ma non bisogna mai dimenticarsi della propria terra. Se c’è qualcosa che lì manca, istruisciti fuori e poi ritorna per costruire e creare cose grazie a ciò che hai appreso. Il mondo è stato creato da persone come noi.

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Matteo Alvino

Mi chiamo Matteo Alvino, triestino di 25 anni e aspirante storico di professione (si spera). Mi sono laureato in storia all'Università di Trieste e sto ultimando la specialistica in storia orientale all'Alma Mater Studiorum di Bologna dove mi occupo di rapporti e legami tra Europa e Asia durante l'Età moderna. Gli incontri tra culture diverse mi hanno sempre affascinato, sono diventati centrali nei miei studi e, grazie anche a bellissime esperienze di volontariato, mi hanno dato la possibilità di vivere per alcuni periodi in Africa e in Asia. Buon viaggio a tutti!

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