Giovanna, Loveleen, Marta, Mattia, Silvia e Stefano, ovvero la ComboUniversitaria, un modo per vivere il periodo universitario creando comunità. In questo articolo-intervista parliano con loro di comunità, università, fenomeno migratorio e della bellezza e delle difficoltà che questo mix porta con sé.
Partiamo dall’inizio: di che cosa si tratta?
La ComboUniversitaria è da tre anni una comunità di studenti universitari ospitata in una struttura gestita dai Padri Comboniani e dal Centro Astalli, parte della rete del Jesuit Refugee Service, a Trento.
Si tratta di una comunità universitaria laica che si basa su quanto detto dal card. Martini: «io non domando se siete credenti o non credenti, ma se siete pensanti o non pensanti. L’importante è che impariate a inquietarvi».
Tredici richiedenti asilo cercano di diventare autonomi attraverso un percorso di seconda accoglienza, sei ragazzi e ragazze si sono trasferiti a Trento per frequentare l’università, e la piccola comunità di Padri Comboniani ha messo a loro disposizioni alcuni spazi della propria struttura.
Gli studenti vivono la loro vita, e i richiedenti e i padri la loro: ogni tanto si intrecciano – a volte in modo spontaneo e casuale, a volte in attività strutturate e programmate – e c’è da pensare, parlare, ridere o litigare.
Ma che cosa ha portato sei studenti e studentesse universitari a far parte di questo progetto?
Le motivazioni sono diverse: chi è stato spinto soprattutto dalla curiosità, dalla voglia di provare qualcosa di nuovo. Chi perché fin da piccolo aveva conosciuto ed era entrato in contatto con il Centro Astalli e con le sue varie iniziative. Chi per cercare di andare oltre, di sfatare la comune, generale e stereotipata descrizione del fenomeno migratorio, spesso ghettizzato e presentato marcando la differenza tra noi e loro, con la volontà invece di fare qualcosa di concreto, di entrarci dentro, di conoscerne da vicino i protagonisti, le storie, le problematiche.
Università e comunità: come si conciliano questi due mondi?
L’università non toglie tempo alla comunità e la comunità non toglie tempo all’università. Questi due mondi non si escludono, ma si incontrano, si incastrano e si completano.
Si tratta di due vasi comunicanti: in alcuni casi, soprattutto per chi studia Sociologia, insegnamenti e strategie apprese in ambito accademico trovano ampio spazio di applicazione nel contesto comunitario, oltre a essere temi animatamente discussi durante pranzi e cene. Così come temi e dinamiche riscontrati nell’esperienza quotidiana pongono questioni che spesso lo sguardo sociologico riesce a inquadrare in prospettive più ampie.
Per altri far parte della ComboUniversitaria permette di vedere da un altro punto di vista un fenomeno di cui tanto si parla, di vederne il lato umano. Studiare Giurisprudenza e contemporaneamente vivere con questo “fenomeno”, cioè le persone richiedenti asilo, permette di vedere da vicino le diverse e numerose problematiche a esso collegate.
Infine, se per alcuni questa esperienza ha permesso e permette di mettersi alla prova, di guardare da una prospettiva diversa l’ambito lavorativo nel quale piacerebbe operare, per altri ha permesso e permette di fare luce e chiarezza sul proprio futuro, portando anche ad intraprendere strade diverse da quelle immaginate.
Semplicemente quotidianità
Il bello della ComboUniversitaria è proprio il fatto di mettere insieme realtà diverse riflettendo ciò che è la quotidianità, la società, in un mondo in cui sempre più si intrecciano culture e provenienze diverse.
Due sono però i rischi nei quali si può incorrere. Per chi vive la ComboUniversitaria, sentirsi o essere percepiti come degli animatori nei confronti dei ragazzi richiedenti asilo, di mettere in pratica, anche inconsapevolmente, un atteggiamento paternalistico o assistenzialistico nei loro confronti. Per chi vede questa realtà dall’esterno, percepirla come qualcosa di straordinario – nel senso di extra-ordinario – che esula, appunto, dall’ordinaria quotidianità.
Al contrario, la convivenza di realtà diverse all’interno della stessa struttura – pur abitando in appartamenti diversi – non rappresenta altro che la società in cui viviamo. Si cerca di costruire comunità, convivenza, condivisione perché questo è lo stile di vita in cui si crede, indipendentemente da quali siano le persone, le realtà con cui si interagisce.
Mentre gli/le studenti/esse universitari hanno scelto di partecipare a questo progetto, non è invece così per i ragazzi richiedenti asilo, che si trovano in questa struttura perché qui sono stati collocati. Questo fa sì che non tutti vogliano partecipare alle varie attività proposte, ma va bene così, perché niente vuole essere imposto, ma solo proposto. In realtà – sottolineano i sei combouniversitari – l’obiettivo sarebbe quello di far sorgere sempre più spontaneamente i momenti di incontro, vivendo semplicemente insieme, prestando attenzione all’altro, condividendo pensieri, preoccupazioni e momenti conviviali.
Abitare la diversità: una palestra di vita
Abbiamo capito che la cifra distintiva di quanto descritto è la diversità: culturale, linguistica, esperienziale… Spesso però, oltre che di arricchimento reciproco, può essere foriera di ostacoli e difficoltà (culturali e linguistiche, ad esempio), faticose e impegnative per entrambe le parti. Se però vengono superate, possono cambiare completamente il rapporto con l’altro. Ci si comprende, nel senso letterale latino del termine, e ogni tassello va al suo posto. Ci si ridimensiona, ci si apre al dialogo, al confronto, sostenendo punti di vista differenti, mettendosi in discussione.
Ciò che conta non è essere d’accordo oppure no, ma prendere atto della possibilità dell’esistenza di una prospettiva diversa. Lo sguardo non è più unilaterale, o per lo meno non vuole più esserlo, ma tutto diventa per ciascuno un costante esercizio a conoscere e a mettersi nei panni degli altri.
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