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Autostima e studenti/4: indifferenti è meglio

Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e docente di Psicologia dinamica alla Bicocca di Milano, nel suo famoso Fragile e spavaldo (2008), sostiene che nella società d’oggi si dà una grande importanza alle prestazioni. Che siano voti a scuola, like o view sui social (come in quella puntata terribile e geniale di Black Mirror), siamo continuamente valutati, in base a prestazioni, competenze e performance.

Questo fenomeno, soprattutto negli adolescenti e nei giovani, porta a una vera e propria saturazione per tutte le vicende che possono andare a intaccare l’autostima.

Di per sé, lasciare che la propria «immagine affettiva di sé» venga provocata e interrogata è cosa positiva: il confronto con il principio di realtà resta sempre la migliore fonte di cambiamento e di crescita. Tuttavia questo dialogo dev’essere equilibrato e godere, come dicevamo, di una corretta attribuzione.

Per tanti motivi può accadere che questo equilibrio venga a mancare. La saturazione di fronte alle continue e incessanti richieste di performance da parte del mondo, della scuola, della sfera delle amicizie… può portare, paradossalmente, a un’autostima ingombrante e impermeabile, che, per difendersi, si rende sorda di fronte ai segnali che il mondo le dà.

Da qui può provenire quella che, dall’esterno, potremmo chiamare indifferenza o, addirittura, spavalderia (appunto come dice il titolo di Charmet). Parlo di cose vissute in prima persona, per non parlare di altri: «è la quarta volta che do Elettronica analogica… be’, chissenefrega, tanto non cambia niente».

Sembra strano, ma è così: le persone che ci sembrano eccessivamente sicure di sé, capaci di non guardare in faccia a nessuno, spesso portano dentro una grande insicurezza legata all’autostima, che, proprio per questo, cercano di difendere in questa maniera. Si parla, a questo proposito, del meccanismo di difesa della formazione reattiva (che può accompagnarsi a quello della proiezione e della negazione).

Anche in questo caso si tratta di una sorta di scorciatoia, spesso inconscia, per cercare di semplificare il processo, sempre complicato e a volte doloroso, di costruzione dell’autostima.

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Marco Mazzotti

Classe 1983. In ordine: ingegnere elettronico, poi dehoniano, poi prete. Ora mi appassiona ascoltare le persone, lavorare con i giovani, studiare psicologia e antropologia.

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