A tutti gli appassionati di hiking, climbing e mountaineering, questo periodo di reclusione forzata ha portato una grandissima nostalgia dell’aria pura, del sole che all’alba fa capolino tra le cime innevate, dell’acqua fredda dei ruscelli; già dallo scorso marzo il CAI (Club Alpino Italiano), insieme a guide alpine e ad atleti, ha lanciato l’hashtag #lemontagnesannoaspettare. Per noi umani-montanari invece è un po’ più difficile, siamo disposti ad attendere l’evoluzione delle condizioni meteo durante una spedizione o una arrampicata, ma la sostanziale differenza dalla situazione odierna è che nel primo caso siamo già in montagna, siamo già dove volevamo essere, oggi invece chiusi in casa. Certo non dimentichiamo che la situazione pandemica ha fatto riscoprire a molti il piacere dell’immersione nella natura, la sua bellezza, il piacere del movimento e del silenzio; chi vive e frequenta la montagna aveva già acquisito queste consapevolezze e ora le brama e le ricorda in pensieri nostalgici. Il mantra lanciato dal CAI, però, ci apre alla voglia e alla capacità consapevole di guardare e ripensare il nostro domani; ma com’è possibile pensarlo quando nemmeno possiamo godere della vicinanza della persona a noi più cara? «Gli uomini hanno bisogno di stare vicini. Non c’è futuro senza vicinanza, senza stare insieme» queste sono alcune parole del direttore d’orchestra Ezio Bosso, intervistato da Diego Bianchi a Propaganda live il 10 aprile. Non possiamo dargli torto: l’alternanza tra distanza e vicinanza è elemento indispensabile all’interno delle relazioni.
Nuove consapevolezze
Fare una previsione sul futuro è alquanto complesso e in una situazione variegata come quella attuale correrebbe il rischio di essere riduttiva. Possiamo però cercare di cogliere gli spunti che questa clausura ci propone non per far tornare tutto come prima (come spesso si sente dire) ma per fare un passo in avanti, a livello personale e sociale. Credo che la forzata permanenza nelle nostre case ci possa aver spinto a rivalutare in chiave positiva le bellezze e le occasioni che ci circondano, i boschi dietro casa, le colline a qualche chilometro… insomma a farci ripensare sotto una luce nuova a ciò che è vicino a noi.
Tra finestre chiuse, portoni sprangati e zerbini storti forse ci siamo accorti quanto le nostre abitudini e stili di vita pregressi fossero precari e labili, lasciando libero lo sguardo di rivolgersi ora sull’attenzione per ciò che vale veramente, ora sull’ambiente, ora sulla solidarietà, le persone, ora sugli amori. Ed allo stesso modo anche il nostro avventurarci nella natura, in montagna si caratterizza più per la corale organizzazione, la condivisione di dolori, traguardi, momenti, pensieri e gioie. Torneremo a camminare in solitudine accompagnati dall’assordante rumore del silenzio o forse insieme, magari un po’ più lontani, in piccoli gruppi: l’empatia trasmessa da un abbraccio mentre si è sulla via o in vetta non si può raccontare ed esprimere a parole, ma forse sarà l’occasione in cui davvero i nostri occhi diverranno lo specchio del cuore.
Si ri-parte?
Già in questi mesi la fauna selvatica si sta riappropriando del territorio, molte specie usciranno dal letargo prima della nostra “scarcerazione” e troveranno un mondo senza umani; una prospettiva incantata ma anche motivo di un rinnovato rapporto uomo-animale da tempo scomparso. E allora cosa stiamo aspettando?
Carta alla mano, scarponi ai piedi e zaino in spalla: la porta si riapre, si, ma non oggi, serve ancora un po’ di attesa. Dal 4 maggio inizierà la «fase 2». Sono ancora incerte le caratteristiche dei nuovi provvedimenti sia individuali che legati alle attività all’aria aperta; è tuttavia interessante l’articolo del 18 aprile 2020, del giornalista Giampaolo Visetti, comparso su La Repubblica, «L’estate in montagna senza rifugi», che esplora la situazione riguardante i rifugi montani. Ormai siamo bombardati da proposte di tutti gli organi di categoria legati al terzo settore e ai servizi connessi, in merito al rilancio del turismo e delle esperienze estive. Visetti mette in luce alcune ipotesi che sono al vaglio: dalla regimentazione degli accessi, alla possibilità di un solo servizio diurno dei rifugi, arrivando a toccare il tema delle «esagerazioni» (gastronomiche in primis), cui sarà difficile dar seguito. Insomma, la prospettiva è segnata da alcune criticità e difficoltà, ma i rifugi sono un elemento essenziale e strutturale, tanto per la salute delle nostre montagne quanto per chi le vive. Franco Nicolini, guida alpina e gestore del rifugio SAT «Pedrotti» alla Tosa, ha dichiarato al quotidiano Trentino che almeno su un punto si è raggiunta l’unanimità: rifugisti e guide alpine, nonostante i dovuti sacrifici, faranno di tutto per esserci. Anche il Club Alpino Italiano, in un comunicato stampa del 19 aprile, accoglie le riflessioni del giornalista di Repubblica, dichiarando il proprio impegno straordinario al sostegno della effettiva fruibilità dei rifugi.Si intravede un barlume di speranza, accompagnato dall’acceso dibattito del mondo alpinistico sulle effettive possibilità e ipotesi di ripristino delle strutture e delle attività in alta montagna. A noi non resta che sognare le nostre amate vette, vicine e lontane, che ci hanno regalato emozioni indelebili, salutandole con un arrivederci alla prossima avventura.
Un articolo datato 24/04/2020 pubblicato dal Corriere della Sera, aggiunge qualche ipotesi pratica legata alla riapertura dei rifugi nella fase2 o nell’immediata estate. Leggiamo infatti che il CAI ha creato una commissione di esperti ad hoc al fine di delineare un piano di intervento mirato alla riapertura dei più di 300 rifugi Italiani. Varie sono le ipotesi vagliate, ma considerando l’andamento imprevedibile del virus l’incertezza per il momento persiste; inoltre non sono trascurabili le problematiche specifiche legate alla “questione rifugi” facilmente percepibili da chiunque abbia pernottato nelle loro camerate. Ecco allora che tra le proposte più accreditate si afferma quella del ritorno al bivacco in tenda e sacco a pelo, con turni rigorosi per i pasti o addirittura consumare cibo preparato dai rifugi nelle proprie tende; già definita invece la prassi di igienizzazione meticolosa dei servizi igienici comuni. Asso nella manica di queste ipotesi è l’utilizzo di ozonizzatori per la sanificazione dell’aria in piccole camere e nelle zone comuni, inoltre laddove sarà consentito pernottare all’interno ciò potrà avvenire solo previa prenotazione, lasciando zaini e giacche all’entrata e procedendo al lavaggio di mani e faccia. Ancora qualche dettaglio sfugge all’ipotetico piano d’azione: ci si interroga infatti su quali comportamenti adottare nei confronti di squadre di soccorso alpino obbligate a pernottare in rifugio, o ad alpinisti colti da contrattempi nel caso in cui il rifugio dovesse risultare già pieno.
ARTICOLO: https://www.corriere.it/cronache/20_aprile_24/coronavirus-piani-cai-rifugi-termometri-notti-tenda-8564085e-8665-11ea-9ac6-16666bda3d31.shtml