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Sardine e stoccafissi

Fa un certo effetto sentire un attempato giornalista rivolgersi ad un uomo di 32 anni definendolo ragazzo e invitandolo a non occuparsi di cose da grandi: capita di sentire e vedere anche questo in televisione, oggi, in un paese che ha perso il senso della misura. Non si tratta di esprimere valutazioni di tipo politico, l’episodio si è svolto tra un noto direttore di giornale e uno degli ideatori del neonato movimento delle “sardine”, ma di provare a leggere tra le righe del contesto sociale che ne fa da sfondo. Possibile che al di là dell’evidente intento ironico messo in atto per svalutare l’avversario del contenzioso, dietro a queste espressioni si celi la fotografia reale di una situazione di stallo in cui versa il paese? Cosa dovrebbe fare una persona per iniziare a sentirsi adulta e responsabile? Quali dovrebbero essere le condizioni di vita in atto, perchè qualcuno glielo riconosca? Il dibattito serio e profondo, ormai evidenziato da molti dei maggiori sociologi in Italia, rigurda l’impossibilità di definire con chiarezza l’ingresso nell’età adulta. Nel nostro paese tutti i parametri che tradizionalmente hanno sempre definito il passaggio tra la giovinezza e la maturità piena sono ormai messi in discussione dall’instabilità sociale, economica e politica: la ricerca di un lavoro che garantisca una debita autonomia, la possibilità di programmare con ragionevolezza un qualche possibile futuro relazionale e famigliare, la possibilità di vedere riconosciuti e valorizzati i propri percorsi formativi e di studio, sembrano ormai scenari sempre più sfumati, esiti non più scontati. Il peso della stagnante immobilità sociale, legato alle difficili condizioni economiche, potrebbe bastare a fornire una qualche spiegazione, ma sarebbe troppo facile e scontato. L’episodio ricordato all’inizio mette in luce una realtà più complessa e difficile da gestire, perchè rigurda le strutture dell’immaginario sociale ormai ben radicate nel nostro paese: gli adulti che occupano posti di responsabilità, ormai sempre più ripiegati sulla conservazione del proprio stato e la preservazione di condizioni di vita che fanno sempre più riferimento ad un generico e mitologico stato di benessere del passato recente, guarda caso proprio il tempo in cui loro sono stati giovani, sono sempre meno disposti e predisposti a riconoscere alle generazioni che li seguono il necessario spazio per la sperimentazione e la progettazione. Si riconosce lo statuto di adulto soltanto a chi si può dire arrivato, mentre invece la condizione vera dell’adulto è quella di essere in cammino e sempre più capace di assumersi responsabilità rispetto all’altro, sia esso il vicino delle relazioni affettive o il più o meno lontano del contesto sociale. Solo l’anziano ha il diritto e dovere di sentirsi arrivato. Abbiamo sempre più bisogno di adulti che riscoprano il proprio status di pellegrini e che abbiano il coraggio di invitare altri a camminare con loro.

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Pietro Antonio Viola

Prima di tutto religioso dehoniano, poi sacerdote. Vivo a Trento e mi occupo di pastorale universitaria e giovanile. Amo la vita in comunità. Laureato in Storia dell'arte all'università di Parma ora insegno all'Istituto di Scienze religiose Romano Guardini dove ho l'occasione di tenere insieme due vere passioni: arte e Parola di Dio.

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