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Lo smark working è (quasi) già qui

Photo by Austin Distel on Unsplash

Di cosa stiamo parlando

Tra gli argomenti che in questi mesi ha riscosso molto interesse c’è indiscutibilmente il tema dello smart working.

Il significato letterale del termine è «lavoro intelligente», ossia una forma di lavoro che dovrebbe restituire una maggiore flessibilità al lavoratore sulla gestione dell’orario di lavoro e dello spazio ove svolgere la propria mansione assegnata. Si contrappone, quindi, alla logica dell’orario di lavoro definito da contratto e del sostenimento della prestazione lavorativa nel tradizionale ufficio o industria.

Il tutto ha come fine quello di garantire maggiore libertà e fiducia al lavoratore spostando il focus dal concetto di lavoro a quello di risultato, responsabilizzando quindi sempre più il lavoratore.

Per molti lavoratori il tema dello smart working è emerso negli ultimi mesi, quando, in seguito al lockdown, le aziende si sono viste obbligate a dirigersi verso questa modalità di lavoro agile. Almeno, laddove questa forma di lavoro può essere fornita.

Ma questa modalità di lavoro era già conosciuta e nota prima del covid-19. Già il nostro Parlamento, in tempi pre-covid, aveva legiferato in merito a questo argomento con il cosiddetto termine «lavoro agile».

Secondo il nostro Ordinamento (legge n.81/2017) il lavoro agile è stato definito come «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro».

A causa della crisi epidemiologica che ha colpito il nostro paese, il legislatore è intervento in maniera tempestiva incentivando le aziende – a condizione che tale modalità sia sempre compatibile – a utilizzare questa forma di lavoro per ridurre il contagio.

Un esempio può essere letto nel Decreto Legge del 19 maggio, meglio noto come «Decreto Rilancio», che autorizza i lavoratori dipendenti che hanno un figlio a carico con un’età inferiore a 14 anni ad avere una corsia preferenziale nell’ottenimento, da parte del datore di lavoro, di questa modalità di erogazione di lavoro.

Comodità, risparmi, vantaggi

Spostando la questione nella sfera puramente economica e manageriale, si può evincere da una prima analisi come lo smart working possa fornire vantaggi sia ai lavoratori che al datore di lavoro.

Per il lavoratore, questa modalità di lavoro può fornire vantaggi in merito al rispetto dei ritmi biologici che ognuno di noi possiede, oltre che dare maggiore attenzione e respiro agli impieghi nelle altre aree della loro vita, come, ad esempio, la sfera familiare (accudimento di parenti più anziani, educazione dei figli…).

Ancora per esempio: questa modalità va particolarmente incontro alle esigenze di una madre, soprattutto nei primi anni di vita dei propri figli, in quanto viene concessa la possibilità di lavoro in orari decisamente anomali e inconsueti.

Se il lavoratore può avere delle ragioni giuste e valide per passare a questa forma di lavoro, anche il datore di lavoro può avere dei vantaggi in termini economici.

I vantaggi possono consistere in una riduzione dei costi fissi operativi, come l’abbattimento del canone di locazione del locale o fabbricato, dei costi di pulizia, dei costi di energia utilizzata, ma anche dei costi variabili sempre legati al business aziendale, come quelli di spostamento e di trasporto o dell’utilizzo di benefit aziendali (di recente questione è l’ottenimento o meno dei buoni pasto per i lavoratori che aderiscono al lavoro agile).

Limiti ineludibili

Se il lavoro agile può essere uno strumento di largo vantaggio per le parti questa modalità, a mio parere, non può tuttavia sostituire interamente il lavoro tradizionale, in cui, tra i tanti punti a favore, vi è la condivisione di idee sul miglioramento delle perfomance aziendali e la possibilità di tessere relazioni fra i vari componenti del proprio team di lavoro.

Si aspettano sicuramente innovazioni in ambito giuridico ed economico-organizzativo, che possano fornire una sempre maggiore efficacia ed efficienza dello smart working. Più in generale, si aspettano rinnovamenti nel mondo dal lavoro, in quanto i lavori esistenti subiranno una radicale trasformazione, anche con la creazione di professioni che ad oggi ci risultano ancora sconosciute.

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Francesco Benatti

Classe 1995. Sono laureato in Economia Aziendale ed in Direzione e Consulenza d’impresa. Lavoro presso studio di commercialisti. Appassionato di libri. Nel tempo libero mi piace fare running ed escursioni.

1 Commento

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  • Condivido quanto scritto: lo smart working è il tema del momento, specialmente in materia di lavoro.
    Aggiungerei una breve osservazione: nell’articolo mi sembra ci si soffermi maggiormente sul lavoro privato, nel quale il lavoro agile (specialmente nella normativa emergenziale) è incentivato, ma facoltativo per i datori di lavoro. Invece, per quanto riguarda i dipendenti pubblici, il lavoro agile – sempre secondo la normativa COVID-19 – è diventata, per tutti, “la modalità ordinaria” di lavoro, anche se (come si sa) questo non è sempre possibile. E ciò per tante ragioni, ad esempio perché si tratta di dipendenti pubblici che di solito lavorano a contatto con il pubblico, o che usano, in ufficio, particolari software che non possono essere installati su pc domestici. Da qui sono derivate alcune critiche, spesso ingenerose, secondo cui nel pubblico impiego questa situazione si sarebbe tradotta, in effetti, in un periodo aggiuntivo di vacanza (per un dibattito in materia si veda https://www.pietroichino.it/?p=56504). Certo, lo smart working non è la risoluzione di tutti i problemi, ma (piaccia o meno) occorrerà abituarsi a questa modalità, che diventerà sempre più usuale sia nel pubblico che nell’impiego privato.

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