Ognuno di noi ha i suoi piccoli, personali, rituali: sfido chiunque a dire il contrario. Si va dai calzini spaiati come portafortuna per l’esame all’amaro digestivo dopo pranzo. Anche io, in questi giorni di quarantena, mi sono sorpresa in un consolidato, e forse un po’ strambo, rituale. Prima di andare a dormire, devo assicurarmi che almeno un’anta dell’armadio (preferibilmente quella sinistra) rimanga aperta.
La motivazione è semplice e fa sorridere: da piccola mi faceva particolarmente paura il buio, perché chissà quale infida e strisciante creatura si poteva nascondere nell’armadio o – tremavo all’idea – nella pancia del mio pupazzo preferito. Notti insonni finché, ad un tratto, non ho provato a convincere il mostro che era ora di sloggiare dal mio armadio, tenendogli la “porta” ben aperta tutte le sere. E allora, straordinariamente, il mostro irritante ha fatto i bagagli. Così, quest’abitudine si è ridotta ormai a un simpatico aneddoto da raccontare nelle serate di conoscenza, mentre nell’angolo di armadio ora ci sono rimasti solo calzini e mutande. E quell’anta aperta.
Quel che non sapevo, e che mi hanno confidato i libri di letteratura, è che del mostro si conosce pure il nome: Pan, per gli appassionati di mitologia, o Panico, per tutti. Creatura lasciva, barba ispida e gambe caprine, suonatore dello strumento a fiato da lui inventato, la siringa, al cui ritmo ballonzolava per campi e foreste. Seduttore instancabile di dee e ninfe e, soprattutto, presenza disturbante negli scontri bellici. Si dice che nella battaglia di Maratona (combattuta tra Persiani e Greci) Pan si fosse manifestato per la prima volta con un lancinante, stridulo e paralizzante urlo. E da qui la sua caratteristica inconfondibile: Pan lo riconosci perché urla, intossica l’aria con la sua presenza: genera paura, inquietudine. Insomma, Panico.
E così ho scoperto che non era solo questione di quel piccolo armadio, Pan mi sembra ovunque in questi giorni. Lasciato a briglia sciolta, si diverte a saltellare da un servizio televisivo e l’altro, si alimenta tra le false notizie e ogni sorta di allarmismo. Vedo l’impronta dei suoi zoccoli negli eccessi, nelle paranoie e negli isterismi di chi si sente sopraffatto da questa situazione di emergenza, e morbosamente ricerca articoli, video, l’ennesima opinione su questo tempo di coronavirus. Il Panico ci viene incontro, oggi, con il suo urlo assordante, che rende sordi a ogni ragionevolezza e speranza. Ma c’è una buona notizia, che mi regala sempre l’amata letteratura, e che fa sorridere per la sua genialità: tra tutti gli dei, Pan è l’unico mortale. È suscettibile a ferite, messe in fuga, fino alla sua scomparsa definitiva. Come per il mio armadio, Panico può essere mandato via, accompagnato alla porta. Basta trovare il coraggio di aprirla, di lasciarlo uscire, e farlo ogni sera, con pazienza e fiducia. Forse così diventerà un rituale per tutti, un piccolo passo per scacciare la notte.
Sono d’accordo con Marco, è bellissimo che l’autrice abbia associato la paura all’apertura; probabilmente io da bambina avrei chiuso le ante con lo scotch per non farmi aggredire durante la notte. La chiusura sembra una protezione perché ti impedisce di guardare oltre, ma a volte verso il buio si trova la luce della verità.
La questione di Pan(ico) che è l’unico dio mortale è davvero appassionante. Affascinante l’idea che Panico possa essere sconfitto non chiudendosi, ma trovando il coraggio di aprirsi (l’armadio/sé stessi): paradossale e molto vero. Grazie per questo pensiero. Aggiungo che anche dal punto di vista della psicologia sociale funziona esattamente così: la chiusura irrigidisce i processi mentali, che sfociano poi in alcuni atteggiamenti di folla (“assunti emotivi di base”) distruttivi e spesso incontrollati.