Un po’ di storia che pochi sanno
Le recenti vicende che coinvolgono Armenia, Azerbaijan e – indirettamente – la Turchia riguardo al possesso della regione di Nagorno Karabakh si stanno via via intensificando, interessando sempre di più l’aspetto bellico. Riassumiamo brevemente i fatti.
Il nucleo della contesa riguarda appunto la porzione di territorio che giace tra queste tre nazioni. Essa è stata formalmente parte del territorio azero, ma abitata da una maggioranza di popolazioni armene cristiane fino al 1991 quando si proclamò indipendente con il titolo di Repubblica di Karabakh, adottando una bandiera di foggia molto simile a quella armena.
La reazione azera è stata violenta e sono seguiti diversi scontri armati, il più sanguinoso dei quali si è verificato circa ventiquattro anni fa, quando l’esercito armeno ha inflitto numerosissime perdite civili all’Azerbaijan e si è concluso con un accordo di cessate il fuoco due anni dopo, nel 1993, sostituendo allo scontro bellico dei tentativi di negoziazione. Oggi sembra che questi tentativi di trovare un accordo siano falliti, poiché nel mese corrente l’Azerbaijan ha ripreso le azioni militari contro la regione, affiancato e sostenuto dal presidente turco Recep Tayyıp Erdoğan. Egli si è detto pronto ad aiutare «i Fratelli Azeri» con ogni mezzo, mettendo in pratica un detto turco circolante negli ambienti nazionalisti, che recita «Turchi e Azeri due nazioni, un unico popolo».
Percezioni diverse
Ciò che mi ha colpita maggiormente è la grande discrepanza tra la versione della storia turco-azera e quella armena. Purtroppo non ho avuto la possibilità di formulare delle domande dirette a dei cittadini azeri, ma ho sottoposto la questione ad alcuni amici e conoscenti turchi residenti a Istanbul. La richiesta principale è stata parlarmi dell’attività mediatica: che cosa dicono i loro telegiornali? Quali notizie arrivano nelle case dei cittadini turchi sulla guerra tra Armenia e Azerbaijan e in che quantità? E che cosa ne pensano loro individualmente?
Nonostante le persone intervistate siano di età diverse e possano vantare bagagli culturali ed esperienziali differenti tra loro, le risposte ottenute sono state quasi del tutto congruenti: sì, la ripresa dello scontro armato tra le due nazioni è stata annunciata sulla tv nazionale, così come il totale appoggio del governo turco all’Azerbaijan, ma nulla di più.
C. era addirittura pronto a garantire di non saperne nulla, perché non era una notizia che aveva fatto scalpore. O. ha commentato che l’Armenia, povera com’è, non dovrebbe sprecare energie e risorse per il Karabakh, ma occuparsi dei suoi problemi più pressanti. H. ha aggiunto solo che «gli Armeni hanno attaccato gli Azeri come al solito, e come al solito noi siamo pronti ad aiutare l’Azerbaijan».
Nulla di nuovo, dunque: attenendoci a questa versione si può pensare che quella di questi giorni sia una scaramuccia tra le tante, senza gravi conseguenze. Stando ai recenti tweet del presidente azero Ilham Aliyev, questi sono solo «giorni pieni di gioia» perché il Nagorno sta finalmente tornando dalle mani del governo fascista armeno ai suoi legittimi proprietari.
La versione armena è molto diversa. Parla di una vera e propria guerra, di attacchi militari di ampio raggio su tutta la regione del Karabakh, che stanno esaurendo le risorse dell’esercito e stremando la popolazione. Penso che salti all’occhio la reazione degli Armeni, in patria e all’estero, che si sono attivati subito, soprattutto sulle piattaforme social, per cercare di sensibilizzare il più possibile il resto del mondo.
Secondo A. il modo migliore per aiutare l’Armenia in questo momento è inviare semplicemente denaro: mancano le risorse, e contribuire a finanziare la regione può fare la differenza. Altri, come M., sono molto più espliciti: la differenza numerica tra la popolazione azera e quella turca rispetto al popolo armeno è talmente ampia che la coalizione tra le due nazioni sembra dettata solo dal desiderio di annientare definitivamente tutta l’Armenia e non dovuta ad una vera necessità per fermare i conflitti in Nagorno.
Il ruolo (assente) dell’Europa
Infine, alcuni armeni rivolgono la propria paura e frustrazione contro l’Europa che, complice l’emergenza da COVID-19, sembra non prestare attenzione alla vicenda: non una parola è stata spesa dal ministro degli esteri italiano, Luigi Di Maio, mentre il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel si sono limitati a condannare le azioni militari azere davanti alle telecamere, senza però far seguire un aiuto concreto alla regione.
Dal momento che le notizie sono così scarse, è impossibile determinare cosa stia realmente accadendo, chi abbia effettivamente scatenato il conflitto e quante perdite si contino da entrambe le parti. Ciò che però mi sembra evidente per ora è la disparità dei punti di vista che, a mio parere, riflette anche l’estrema difficoltà a trovare un accordo definitivo e pacifico.
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